Le due anime straniere del Pd

Lucia Annunziata

Le parole che hanno toccato più da vicino la ferita le ha pronunciate Peppe Provenzano, primo Cavaliere della Segretaria, uno dei non molti pontieri fra l’ieri e l’oggi del Pd. «Non mi sono mai piaciuti i caminetti, ma dobbiamo trovare luoghi dove maturino democraticamente le decisioni. La comunicazione viene dopo la politica. Dobbiamo guardare al mondo fuori da noi, ma la nostra comunità è un patrimonio di cui prenderci cura».

Una ammissione: nel Pd manca persino un luogo fisico in cui ritrovarsi, passarsi informazioni discutere magari litigare e magari ricomporre. «Il mondo fuori da noi» e la comunità «di cui prendersi cura», «la comunicazione» che «viene dopo la politica»: è il ritratto di una famiglia che vive separata in casa, di una forse rispettosa, ma disfunzionale convivenza, fra due lontananze, due diversi mondi.

La direzione del Pd attesa, rimandata, rimandata ancora, non è stata alla fine così aggressiva come molti avevano anticipato. Ma il processo alla Segretaria che nominalmente tutti volevano evitare, è stato celebrato – paradossalmente negandolo. Rassicurando la Segretaria della massima cooperazione, infatti, ogni intervento ha finito con il sottolineare, nella rassicurazione, il fronte dello scontento. Schlein a sua volta non ha taciuto – rispondendo con un non meno vigoroso prendere o lasciare. Sono qui, cioè in codice affermando di avere ogni intenzione di vender cara la pelle: «Basta con il logoramento del leader, non funzionerà, io sono qui e ci resto».

A dispetto dei toni, un duello ieri si è dunque aperto. Ma intorno a cosa? Intorno a quali forze, quali orientamenti? Certo non se stare o meno con il M5s, che è una scelta solo tattica, considerata la variabilità delle posizioni del M5s; e nemmeno sulla questione delle armi all’Ucraina, che per quanto drammatica non è ancora diventata ragione di scelte concrete, dunque di rottura interna.

Al fondo della difficoltà del Pd sembra esserci piuttosto il fatto che sotto lo stesso nome vivano in questo momento due esperienze, che hanno in comune molto poco in termini di identità: un movimento, quello di Schlein, derivante da un voto vasto ma esterno al partito; e un partito che possiede le chiavi di una immensa eredità di un secolo finito.

Questo è il punto di frizione. E lo si vede in tutto, nel linguaggio, nelle sensibilità, nella differente lista di interessi e obiettivi politici. Differenza che si proietta anche nella scelta delle parole, e, soprattutto, nello sguardo sulla realtà.

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