Le nostre democrazie sedotte e consumate dai demagoghi che volevamo distruggere

Lucia Annunziata

Sedotte e (forse) abbandonate. C’è una fascinosa idea che circola da un po’ di tempo, nel mondo della geopolitica: la chiamano la teoria della seduzione. È quel processo che non avevamo previsto, né visto, arrivare. Mentre provavamo, per quasi tre quarti di secolo dopo il conflitto mondiale, a proporre il nostro modello democratico per sedurre i Paesi sotto il giogo dei dittatori, i dittatori hanno cominciato a sedurre noi. Cronaca sintetica e devastante dei primi anni Venti del secolo Duemila. L’America è un buon luogo da dove iniziare per individuare questa dinamica, ma in Europa l’effetto seduzione è altrettanto palese. Parte delle élite economiche, degli eletti ma anche dei cittadini Occidentali sembra ormai pensare che forse alla fine questa storia dell’uomo solo al comando non è mica tanto male.

In epoca di crisi economica (a partire da quella del 2008), di transizioni epocali (clima e tecnologie), di cigni neri, come pandemie e guerre, il processo decisionale dell’Occidente appare sempre più disfunzionale, le opinioni pubbliche troppo divise, e i patti sociali, che hanno costruito dopo la seconda guerra un benessere senza precedenti, obsoleti. Un governo con un vertice forte, uomo o donna al comando, decide con velocità, può mettere insieme maggioranze per ottenere leggi altrimenti divisive, può sciogliere i “lacci e lacciuoli” del sistema di pesi e contrappesi della democrazia, fra cui le istituzioni di controllo che sono gli organismi che garantiscono i cittadini nello e dallo Stato.

Val la pena, come dicevo, di iniziare dall’America. La più giovane democrazia del mondo (la dichiarazione di Indipendenza è del 1776) è invecchiata. Questa è la storia che nei mesi scorsi ci hanno raccontato i ripetuti capitomboli del Presidente Biden, che a 80 anni ha ancora di fronte a sé come avversario un Trump di 76 anni.

La più giovane, dunque vitale, democrazia, famosa per la sua energia, la sua dinamica classe dirigente, capace di inventare continuamente nuove forme di partecipazione, in grado di dare forma a un potere fatto di eventi, linguaggi, ognuno dei quali ha influenzato questo secolo – il soft power dei successi ingegneristici e di quelli della parola – facendo immaginare di poter guidare il mondo con il minimo di uso di apparati militari, questa nazione si è avvitata sulle proprie divisioni. Al punto che per acrimonia anche se non per sangue si descrive oggi come nel pieno di una guerra civile. I due anziani presidenti degli anni recenti sono diventati coloro ancora in grado di parlare all’intera nazione proprio perché sono quello che una volta era l’America. Ma hanno l’energia e soprattutto la proiezione intellettuale nel futuro per tenere la guida di un Paese così potente?

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