Investimenti e intuizioni, ecco i segreti dietro lo scudetto del Napoli

Andrea Muratore

Lo scudetto del Napoli viene da lontano. Ed è anche il premio al lavoro di una società che, sotto la guida del presidente Aurelio De Laurentiis, ha riportato nell’Olimpo del calcio italiano una piazza affamata di risultati. Se i due scudetti del 1987 e del 1990 del Napoli che ruotava attorno a Diego Armando Maradona erano stati i titoli del riscatto nazionalpopolare e populista di una squadra trascinata dal Diez al livello delle corazzate del Nord, quello del Napoli di Luciano Spalletti è il punto di arrivo di una corsa durata diciannove anni.

Plusvalenze e risultati

Era il 6 ottobre 2004 quando il Napoli targato De Laurentiis esordiva in Serie C1 dopo il fallimento battendo 1-0 la Vis Pesaro all’ultimo respiro al San Paolo, con gol di Massimiliano Varricchio. Da allora in avanti, soprattutto dopo il ritorno in Serie A concretizzatosi nel 2007, De Laurentiis e la sua società hanno portato gli azzurri nell’élite con programmazione e investimenti. Ha speso molto, il club guidato dal produttore cinematografico romano: 800 milioni di euro solo nell’ultimo decennio nelle sessioni di mercato e un miliardo di euro circa per gli stipendi nello stesso periodo. Ma spesso gli investimenti sono stati ripagati ampiamente da plusvalenze e risultati sul campo.

Nei primi anni dopo il ritorno in Serie A il Napoli fu guidato da uomini-simbolo poi divenuti la chiave di volta per eccellenti plusvalenze. Iniziò Ezequiel Lavezzi, il fantasista argentino acquistato per 5 milioni di euro dal San Lorenzo nel 2007 e venduto al Paris Saint Germain per 30 milioni cinque anni dopo. Alla stessa squadra parigina si trasferì l’anno successivo il bomber uruguaiano Edinson Cavani. De Laurentiis aveva investito nel 2010 17 milioni di euro per strapparlo al Palermo, ma lo cedette per ben 66 milioni di euro al club degli emiri qatarioti dopo che il Matador aveva segnato 104 gol in 138 partite contribuendo alla vittoria della Coppa Italia 2011-2012.

A sostituire Cavani fu chiamato Gonzalo Higuain, acquistato dal Real Madrid per 40 milioni di euro, in quella che fu la più onerosa trattativa della storia del Napoli. Investimento lautamente ricompensato dalla vendita del Pipita argentino alla Juventus per 90 milioni di euro tre anni dopo

Questi erano i racconti di un Napoli capace di muoversi tra le big ma presto o tardi destinato a separarsi dai suoi migliori talenti. Per la stabilizzazione l’uomo del destino è stato, in quest’ottica, Cristiano Giuntoli. Dopo la sua chiamata alla carica di direttore sportivo, il manager ed ex calciatore classe 1972 artefice del miracolo Carpi, guidato come dirigente dalla D alla Serie A nel decennio precedente, ha impostato in tandem con De Laurentiis una strategia di programmazione societaria molto ambiziosa.

Il modello Napoli che ha portato allo scudetto

Il Napoli non ha alle spalle una struttura tale da poter gestire vivai ramificati come quelli che hanno in Europa società come l’Ajax e l’Atalanta. La struttura stessa del club e della sua tifoseria, che sovraespone gli enfant du pays sotto il profilo delle aspettative, ha fatto sì che pochi, a parte lo storico ex capitano Lorenzo Insigne, abbiano avuto modo di emergere dalla Primavera ai ranghi dei titolarissimi. La strategia di Giuntoli è stata invece pragmatica e a metà strada. Acquisti di giocatori da campionati minori e dalla classe medio-bassa delle massime leghe europee si sono saldati a investimenti mirati su dei big capaci però di garantire, in prospettiva, rendimenti sul campo notevoli e una crescita delle prestazioni capace di stabilizzare ad alti livelli il club.

I giocatori in questione, inoltre, sono stati chiamati anche sulla logica della fidelizzazione alla maglia, sfruttando la tendenza di De Laurentiis e Giuntoli a chiedere ai neo-firmatari del club l’impegno a garantire al club la gestione esclusiva dei propri diritti d’immagine. Una scelta spesso ritenuta controversa, ma che ha creato un’identificazione del Napoli come collettivo al di sopra dei singoli.

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