Bobbio, Ignazio e l’equazione tra fascismo e antifascismo

MASSIMO GIANNINI

Mancano ventitré giorni alla Festa della Liberazione, e vogliamo dire al presidente del Senato che di qui ad allora, e poi anche oltre, noi non gli daremo tregua. Siamo convinti da sempre che Ignazio Benito La Russa non possieda le qualità morali e istituzionali, etiche e politiche, per rappresentare la seconda carica dello Stato. Ma con le sue intemerate su Via Rasella ha superato un limite, e indietro non si torna. Conosco già le obiezioni di sapienti e benpensanti, opinionisti a gettone e benaltristi un tanto al chilo: ancora con le polemiche sul fascismo e l’anti-fascismo? Che c’entriamo noi contemporanei con le polveri del passato, quando siamo aggrediti dai virus del presente? Non vedete che le priorità del Paese sono inflazione e immigrazione? Lo vediamo benissimo, tanto che ai sondaggi di Alessandra Ghisleri che certificano queste ansie degli italiani dedichiamo regolarmente l’apertura del nostro giornale. Lo vediamo a tal punto che da mesi facciamo inchieste quotidiane sul dissesto della sanità pubblica e sul disastro del lavoro povero, e da giorni abbiamo lanciato con forza l’allarme sui ritardi inaccettabili della giustizia e su quelli incolmabili del Pnrr. Ma in una democrazia sana tutto si tiene, nulla si elide. E ora rivolgo io una domanda ai valorosi sostenitori della mozione “basta parlare di fascismo e anti-fascismo”, presenti anche tra i nostri lettori. Non vedete l’uso ideologico che certa “destra nazionale” sta facendo della Storia, per ripulirsi dai suoi errori e i suoi orrori, rendendoli uguali a quelli degli altri, quindi equivalenti e pertanto irrilevanti? Non vedete l’insidia culturale di un revisionismo fittizio che, distorcendo la Memoria, crea le basi per l’abiura e poi la riscrittura del patto che ci lega, cioè la Costituzione repubblicana?

Al fondo, da cinque mesi a questa parte, stiamo assistendo a questo: la pretesa tracotante e grossolana di imporre un’egemonia “alternativa”, come se questa non fosse il risultato naturale di un “processo” che può durare anni, ma l’esito scontato di una “procedura” che si consuma dalla sera alla mattina (cioè le elezioni vinte). Senza un lungo e serio impegno di riflessione culturale e di elaborazione politica. Senza un pensiero nuovo, che non nasca dalla manipolazione dei nudi fatti o dalla riesumazione di Renan.

L’intero storytelling del governo e della maggioranza, dal 25 di settembre in poi, riflette questa idea di riaffermazione/riabilitazione identitaria e questa sfrontata volontà di rilegittimazione di se stessi attraverso la delegittimazione degli altri. Sul fronte interno non c’è quasi nulla, di ciò che hanno fatto e detto la presidente del Consiglio, i suoi ministri e i suoi Fratelli, che non abbia questo movente psico-politico. Tutto si fa e si propone “contro” qualcuno o qualcosa. Il decreto anti-rave lanciato “contro” i devianti “che fumano e occupano”. I decreti migranti concepiti “contro” le Ong e gli scafisti da inseguire “per tutto il globo terracqueo”. La vicenda Cospito giocata “contro” le sinistre “complici dei terroristi e dei mafiosi”. La delega fiscale studiata “contro” lo Stato-nemico che tartassa i contribuenti. L’abolizione del reddito di cittadinanza pensata “contro” i poveri e gli “occupabili sdraiati sul divano”. L’iscrizione anagrafica dei figli di coppie omogenitoriali negata “contro” i gay che “ricorrono all’utero in affitto”. La battaglia sulla legge che impedirebbe a donne in gravidanza e bambini di scontare pene in carcere combattuta “contro” le “rom che scippano e rapinano”. Persino le nomine nelle partecipate pubbliche e nella Rai immaginate “contro” i “piccoli Stalin col colbacco” rimasti in circolazione. Ha ragione Luciano Canfora: la destra sta provando a “inventare la Tradizione” (approfittando dell’accidia della sinistra, che gliene ha ceduto il monopolio). In molti casi lo fa conservandola, a botte di intolleranza e xenofobia. In altri casi lo fa adulterandola, a colpi di falsificazioni storiche.

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