Nomine, ora è stallo sui vertici di Rfi: battaglia per i 24 miliardi del Pnrr alle Ferrovie

Ilario Lombardo

ROMA. Ieri sera il tavolo sulle nomine a Palazzo Chigi era ancora aperto. Apertissimo. Al momento, nelle agende di Giovanbattista Fazzolari e Francesco Filini – i due uomini in missione per conto di Giorgia Meloni – c’è una bozza di calendario. Il governo prima si occuperà dei vertici delle grandi partecipate (Eni, Enel, Terna, Poste), quelle di prima fila per intenderci, sulle quali i partiti hanno più o meno le idee chiare. Poi si concentrerà su Rfi, la società che si sta rivelando la più complicata da resettare.

Decidere sui manager di Rete Ferroviaria Italiana, controllata dal Gruppo Fs, questa volta vuol dire decidere quali mani gestiranno i 24 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati alle infrastrutture. Una delle fette più importanti e più strategiche delle risorse europee. E in queste ore di vero panico dentro il governo, perché stanno emergendo le difficoltà a rispettare gli impegni presi con Bruxelles, è diventato prioritario pensare a chi avrà la responsabilità di mettere a terra gran parte dei progetti finanziati dai fondi Ue.

Le nomine, in questo caso, sono soprattutto in mano alla Lega, al suo leader, Matteo Salvini, che è vicepremier, e qui va però considerato nelle vesti di ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, principale promotore politico del Ponte di Messina. Questo giornale ha già raccontato, in parte, chi sostiene chi, nella silenziosa battaglia tra i partiti del centrodestra, o ancora meglio tra i loro ispiratori e consiglieri informali. Lo stallo di queste ore è frutto di veti e sospetti.

Com’è noto, il nome di Roberto Tomasi, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (Aspi), che attraverso la ex Salini, oggi WeBuild, principale contractor della grande opera sullo Stretto, porta a Denis Verdini, suocero di Salvini, è ancora nella short list del governo. Tanto più che, come raccontano fonti vicine ai rappresentanti dei fondi che siedono nel Cda di Aspi, ieri Tomasi sarebbe finito al centro di una specie di interrogatorio sulle complicate prospettive per l’azienda. Rfi sarebbe una delle exit strategy per il manager, offerta dal governo e suggerita da Verdini, che in questi giorni sta compulsando curriculum di altri dirigenti, sempre per conto del genero leghista.

Ma l’ex senatore di Forza Italia, grande manovratore di nomi e alleanze quando sussurrava all’orecchio di Silvio Berlusconi, non è il solo muovere la sua rete di relazioni dietro ai partiti. Un altro intramontabile è Luigi Bisignani, che torna sempre quando a Roma il potere si deve rigenerare. A sentire i fidatissimi di Meloni, ovunque ci sia Gianni Letta c’è anche Bisignani.

Lo proverebbe il tentativo di spingere a capo della società del traffico aereo, l’Enav, Roberta Neri con cui il faccendiere è stato visto lo scorso autunno al Cuccurucù, ristorante da lui frequentato nella Capitale. Bisignani avrebbe a cuore due nomi per Rfi. Il primo è un altro esterno al mondo ferrovie, si tratta di Stefano Siragusa, fino allo scorso agosto deputy general manager in Tim. Il secondo è Luigi Corradi, attuale amministratore delegato di Trenitalia, sponsorizzato da Luigi Ferraris, ad di tutto il gruppo Fs.

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