Le crisi bancarie e la teoria dello scarafaggio: quanti ne sono nascosti?

di Federico Rampini

Wall Street riscopre la teoria dello scarafaggio a proposito delle crisi bancarie. Non stupisce che questa metafora sia così popolare a New York, dove i bacherozzi contendono ai ratti il dominio del territorio. La teoria è questa. Quando appare uno scarafaggio nel lavandino della tua cucina o sul pavimento del bagno, e t’ingegni per ucciderlo, anche se riesci ad assassinare l’intruso non devi farti illusioni, l’animale non appartiene a una specie solitaria. Aspettati di veder apparire presto qualche suo fratello, figlio, cugino. Il primo scarafaggio è l’avanguardia di un’invasione, di solito, perché queste blatte vivono in famiglie, tribù, colonie. La teoria dello scarafaggio è stata usata per diversi tipi di crisi, in particolare i crac bancari. Anche le banche malate sono spesso parte di un gregge, non casi isolati. Il 2008 funzionò così. Il 2023 rischia di ripetere lo stesso schema?

Così è partito il crollo di Deutsche bank

La teoria dello scarafaggio non significa che il mondo sia sul punto di soccombere sotto un’invasione di questi coleotteri. Però invita ad accogliere con qualche scetticismo e circospezione le affermazioni troppo rassicuranti. Una fra tutte: «Qui da noi non può succedere». È un film che abbiamo già visto. Nel 2008 gli europei cominciarono col dire che la crisi era tutta americana, legata agli eccessi di un certo tipo di capitalismo finanziario. Poi l’Eurozona s’infilò nel tunnel di una turbolenza perfino più lunga e dolorosa di quella americana.

Nel 2023 all’inizio molti hanno detto: la Silicon Valley Bank è legata alla bolla tecnologica, è una storia tutta californiana. Poi è fallita una banca di New York. A quel punto si è sentito dire: i soliti americani… «però l’Europa è molto più sana e solida, non c’è nulla da temere sul vecchio continente». Ben presto è andato per aria il Credit Suisse, costringendo la banca centrale elvetica a prestare 100 miliardi di liquidità e l’Ubs a intervenire con un’acquisizione d’emergenza. «Ma la Svizzera non è dentro l’Eurozona», qualcuno ha rilevato, per rassicurare sull’impossibilità del contagio. In realtà i criteri di sicurezza per i capitali e le riserve bancarie in Svizzera riflettono gli standard della Bce. Comunque lo scarafaggio svizzero potrebbe avere un cugino tedesco, è la Deutsche Bank quella che oggi fa tremare i mercati. Già sento le nuove rassicurazioni, del tipo: la Deutsche Bank è sempre stata una «pecora nera», molto controversa da anni.


La cantilena è sempre la stessa: «Qui da noi non può succedere». Si capisce che le autorità bancarie e gli organi di vigilanza debbano usare questo tipo di linguaggio. Ci mancherebbe solo che seminassero dubbi e quindi diventassero loro stessi degli agitatori di panico. Però intanto gli scarafaggi continuano a sbucare dal lavandino. E viene anche il legittimo sospetto che le autorità di vigilanza usino un linguaggio rassicurante per coprire le loro stesse colpe: la Federal Reserve, ad esempio, aveva messo sotto ispezione da un anno la Silicon Valley Bank per evidenti irregolarità. A che cosa servono questi controlli, se la banca affonda lo stesso?

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