Calabria, cimitero sulla spiaggia. I sopravvissuti al naufragio: “Gli scafisti ci gettavano in mare”

dal nostro inviato Niccolò Zancan

«Terra!». Continuavano a urlare, a pregare, a vomitare. Mare forza 6, vento di scirocco. «Quando abbiamo visto le luci, credevamo di essere salvi. “Vengono a prenderci!”. A quel punto, gridavamo tutti, eravamo sicuri di avercela fatta. Ma gli scafisti hanno iniziato a buttare giù i ragazzi, li tiravano per le braccia e li gettavano nel mare. A bordo si è scatenato il panico. La barca si è capovolta. E non era vero che ci avevano visto, non sono venuti a salvarci». Fino a quel momento, i fantasmi del motopeschereccio partito dalla Turchia erano sopravvissuti a una traversata terrificante sulla rotta Smirne-Crotone, la rotta ionica. Sono morti a 200 metri da riva, a 200 metri dall’Europa. Qui a Steccato di Cutro, in Italia. È stato un pescatore ad accorgersi per primo del naufragio. «Erano le cinque del mattino quando ha chiamato il mio amico Antonio Grazioso. Lui ha telefonato a me, e insieme siamo arrivati sulla spiaggia. Dopo quello che ho visto e che non potrò mai dimenticare, non sono sicuro che lo rifarei». L’operaio Vincenzo Luciano, cittadino di questo piccolo paese sul Mar Ionio, ha visto i cadaveri spogliati dalla tempesta. Ha visto i sommersi. «Non sapevamo da che parte incominciare. I corpi erano ovunque, per almeno duecento metri di spiaggia. Morti dappertutto, una cosa incredibile. Una donna con le braccia larghe stava là, come crocefissa. Due bambini era vicino a lei. E ne abbiamo presi tanti dalle onde, qualcuno ancora vivo».

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Sul peschereccio di venti metri partito dalle coste turche, c’erano due cassoni carichi di nafta. E acqua, biscotti, redbull, ginseng, libri di preghiere, scarpe da ginnastica numero 34, una bicicletta da bambino e pochi salvagenti, perché il viaggio con giubbotto di salvataggio costa più caro. È tutto qui. Perfettamente chiaro. Su questa spiaggia.

A bordo viaggiavano da 150 a 180 persone: pachistani, afghani, iracheni, iraniani. Tutti inviati dai loro parenti, in missione per la vita. Con i risparmi messi insieme dopo anni di lavoro e sacrifici. Quattro giorni nel mare, tre notti intere contro le onde. Prima di arrivare a scorgere quelle luci sulla costa italiana. I morti sono già 74, molti sono minorenni. Ottantadue i salvati. Molti altri non si trovano, nessuno sa dire con esattezza quanti. Ventuno ragazzi e bambini sono ricoverati nel reparto di pediatria dell’ospedale di Crotone. Era una barca carica di futuro. Un peschereccio di legni azzurri che alle cinque di ieri pomeriggio, dopo il naufragio, era ormai completamente distrutto dalle onde, ridotto in pezzi fra la risacca e la battigia. Ed era già tutto già visto, già vissuto. La stessa identica storia. La stessa vergogna di essere vivi per un privilegio, Lampedusa, Malta, Portopalo di Capo Passero: non cambia mai niente, se non i nomi dei morti.

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«Ormai erano arrivati», dice senza smettere di fissare il mare Gianluca Messina. È il caposquadra del nucleo sommozzatori arrivato dalla Sicilia. Anche lui c’era il 3 ottobre del 2013 a Lampedusa, per quel naufragio identico a questo davanti alla spiaggia dei Conigli. «Non riesco a crederci, anche questa volta erano a un passo dalla salvezza», continua a ripetere. «Quando siamo arrivati, alle prime luci dell’alba, molti cadaveri erano già sul bagnasciuga. Lo scafo del peschereccio era ancora intero. C’è un video in cui si vede bene. Ecco, guarda. Deve aver picchiato in una secca laggiù, dove si infrangono le prime onde. La barca si è capovolta e sono finiti tutti in mare. Ma lo sappiamo bene che molti di questi ragazzi non sanno nuotare perché non hanno mai visto il mare in vita loro».

E chi sapeva nuotare, ha provato a tenere in alto il più piccolo dei viaggiatori. «Eravamo circondati da cadaveri», dice Laura De Paoli, medico della Fondazione Cisom Cavalieri di Malta. «A un certo punto abbiamo visto due uomini che tenevano in alto un bambino piccolo. Siamo riusciti a recuperali, erano il fratello e lo zio di quel bambino. Abbiamo provato a rianimarlo, ma aveva i polmoni pieni d’acqua e non ce l’ha fatta».

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Sulla spiaggia adesso arriva un parroco per la benedizione delle salme, si chiama don Pasquale Squillacioti: «Siamo di fronte a una scena apocalittica. Ho visto tirare fuori dalle onde un ragazzino completamente nudo, e in quell’immagine ho visto la carne di Cristo».

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