Salvini, il leader della Lega adesso teme un futuro da gregario

di Roberto Gressi

Sondaggi e politica estera, il difficile rapporto con la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Le alleanze e (soprattutto) gli abbandoni del capo del Carroccio

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E il Papeete , e i pasticci sul Quirinale , e quanto sono bravi e saggi Giorgetti e Zaia, e i sondaggi in picchiata, e Giorgia Meloni che mette la freccia e sorpassa pure al Nord . E poi, e poi… Però alla fine, Matteo Salvini, una zampata l’ha piazzata e zitto zitto, contro la sua natura, con la tattica del fregapiano, è salito sul taxi di Giuseppe Conte e ha tenuto aperta la portiera pure a Silvio Berlusconi. Quanto basta per affondare le larghe intese e portare l’Italia al voto anticipato. Certo, lo attende un futuro da gregario, ed è per questo che vuole ritentare il doppio passo da ministro dell’Interno. Ma Giorgia, che ha visto la cura che riservò a Luigi Di Maio, non si farà convincere facilmente.

Salvini nasce a Milano, il 9 marzo 1973, sotto il segno dei Pesci. L’uomo Pesci è sensibile e generoso, ma anche rancoroso e non sempre incline a dire la verità. È alto un metro e ottantacinque, peso sugli ottantasette chili, ma un po’ a fisarmonica. Maturità classica, cinque esami in sedici anni di ateneo, come un personaggio strepitoso della striscia Usa Doonesbury, al quale l’autore Garry Trudeau fa dire: «Il primo anno di università sono stati i cinque anni più belli della mia vita».

Ma in realtà, fin da ragazzo, Matteo è molto rapido nel parlare. Ha quindici anni quando partecipa in tv a Doppio slalom , un gioco a quiz con Corrado Tedeschi che fa domande non facili. Diventa anche campione, prima di essere spodestato. Quando non conosce la risposta si butta lo stesso e improvvisa, al volo. Ama il Milan, la pesca, cercare funghi e consegna le pizze, da grande vorrebbe fare il giornalista sportivo. A vent’anni è di nuovo in tv, a Il pranzo è servito, che Davide Mengacci ha riciclato dopo Corrado Mantoni. Matteo sfida la campionessa, è abbastanza bravo ma alla ruota della fortuna gli esce sempre «dieta», che non dà punti, e perde. Fa in tempo a presentarsi: «Matteo, di professione nullafacente, in attesa di dare esami». E brucia l’avversaria sulla soluzione di un rebus: incassare tangenti. E aggiunge: «Vengo da Milano e ne so qualcosa, se non indovino io, chi indovina? ».

È un professionista in abbandoni, nel senso che quando si sente pronto a lasciare il nido non perde tempo a salutare papà rondine e mamma rondine. Vent’anni con Umberto Bossi del resto, a sentirsi dire due volte al giorno che non capisce un accidente, sfiancherebbero un bue. Silvio Berlusconi invece gli sta antipatico a pelle, largamente ricambiato. Non ne vuole sapere delle cene settimanali che si sorbiva il suo ex capo, è immune al fascino di Silvio e soprattutto vuole spodestarlo, cosa che gli riesce alle elezioni del 2018, quando si toglie la soddisfazione di parlare lui dalla tribunetta del Quirinale , con Giorgia Meloni che fa ala da una parte e il Cavaliere che mastica amaro dall’altra. Ora le strade si sono solidamente ricongiunte sulla via della Damasco elettorale, però non c’è simpatia, solo business. Ma l’abbandono più eclatante e quello del fratello di latte Luigi Di Maio, al quale l’aveva unito la chimica di due ragazzotti che mettono in soffitta i padri nobili. Anche se la vendetta è un piatto semi freddo, e dopo il tonfo del Papeete vale la sintesi che ne fa Federico Palmaroli, alias Osho, in un vignetta di allora. I due sono al telefono. Di Maio: «Che vuoi ancora?». Salvini: «Aspetto un bambino».

Ma di discese ardite e di risalite è ricolma la carriera di Matteo. Prende la Lega al misero 4 per cento di eredità che gli lascia Bossi e la porta al 34 per cento delle Europee. In mezzo c’è la copertina di Time che lo descrive come l’uomo «in missione per disfare l’Europa», ci sono le felpe e le divise con le scritte, il rosario e il crocifisso, c’è «la pacchia è finita» rivolto agli immigrati, ci sono i porti bloccati, le magliette con Putin che «mezzo di lui vale più di due Mattarella», ci sono i «buongiorno amici, buon pomeriggio amici, buonasera amici» che gli valgono folle di ragazzi osannanti e comizi stracolmi. Sono i tempi della «Bestia», la possente macchina della propaganda messa in piedi da Luca Morisi e decaduta, per i tempi mutati, anche prima che il suo inventore si facesse da parte. Salvini aveva dimenticato la raccomandazione di Giancarlo Giorgetti: «Matteo, mettiti la foto di Renzi sulla scrivania, e ricorda sempre come si può rotolare in fretta dopo aver dominato».

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