La vita di Scalfari, i titoli storici, i due grandi amori e

di Aldo Cazzullo

Il grande giornalista scomparso a 98 anni

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Eugenio Scalfari , morto giovedì 14 luglio all’età di 98 anni , non ha solo fondato giornali. Ha anche diretto per cinque mesi una casa da gioco nell’Italia del dopoguerra, a Chianciano, seguendo le istruzioni del padre, direttore del casinò di Sanremo. La tecnica, raccontava nelle conversazioni private, era la stessa. L’aveva appresa pure dal suocero Giulio Debenedetti, padre della prima moglie Simonetta, per vent’anni leggendario direttore della Stampa: «Bisogna essere come il domatore del circo; avere sempre un numero pronto, per sostituire il numero che non va più».

L’altro suo punto di riferimento fu Arturo Toscanini : una mattina in cui il giornale non l’aveva soddisfatto, fece ascoltare ai capiservizio la registrazione della sfuriata con cui il grande direttore d’orchestra traumatizzava i suoi musicisti che avevano sbagliato i tempi. Scalfari non veniva da sinistra. Il padre Pietro fu legionario con D’Annunzio a Fiume (lo zio Antonio ebbe una medaglia d’argento al valor militare e la spina dorsale spezzata: divenne morfinomane, morì suicida). Ne L’uomo che non credeva in Dio , forse il suo libro più bello, Scalfari confessa l’infatuazione giovanile per il regime: la notte della proclamazione dell’Impero, i tripodi di bronzo accesi, la voce del Duce. Al referendum del 2 giugno 1946 votò monarchia.

La sinistra fu l’approdo scelto anche per dare ai suoi giornali un pubblico, oltre che un nemico: per vent’anni Craxi, per altri venti Berlusconi. Sapeva fare tutto: il settimanale e il quotidiano, l’editoriale e l’intervista, il saggio e il romanzo, oltre a titoli che hanno fatto la storia del giornalismo: Capitale corrotta nazione infetta, L’Africa in casa, L’avanguardia in vagone letto (era il reportage del suo amico Sandro Viola sul Gruppo ’63), Nottetempo casa per casa (era la deposizione del generale dei carabinieri Zinza sul piano Solo). E ancora: Carlo De Benedetti compra un terzo del Belgio (ma l’avventura della Société Générale non finirà bene), Addio Ghino di Tacco sulle dimissioni di Craxi, cui riconoscerà di aver avuto «la grandezza della fine». Da giovane porta via una fidanzata a Federico Fellini, e ride nel vedere Italo Calvino fuggire spaventato da un bordello. Da adulto tiene duro sulla linea della fermezza durante i 55 giorni del sequestro Moro. «Porta la testa come il Santissimo in processione» (così diceva Carlo Caracciolo).

Si sdraia davanti all’ascensore per impedire a Paolo Guzzanti di andare in un altro giornale. Una domenica conclude l’editoriale preannunciando per la settimana successiva un articolo su Spinoza . Il Foglio di Giuliano Ferrara, uno dei suoi più cari nemici, inizia un count-down quotidiano: meno 6 all’articolessa di Scalfari su Spinoza, meno 5, meno 4…quando la domenica arriva, Scalfari scrive di attualità economica e conclude con un post scriptum beffardo: «Di Spinoza parleremo un’altra volta». Molto legato alle figlie Enrica e Donata – che gli hanno dedicato un bellissimo film, A sentimental journey -, a un certo punto della vita si accorse che l’amore per lui era diviso in due: Simonetta, la moglie, e Serena, divenuta la sua compagna. Alla fine è stata la morte a tagliare il nodo che lui non poteva e non voleva dipanare.

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