La sentinella che monitora il ghiaccio della Marmolada con i radar: «Se crolla di nuovo, 50 secondi per salvarsi»

di Gianni Santucci

Parla Nicola Casagli, docente di geologia applicata dell’Università di Firenze, che lavorò con la Protezione civile anche a Rigopiano

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DAL NOSTRO INVIATO
CANAZEI — Il «gran misuratore» del ghiacciaio indossa occhialini sul naso e una polo blu spazzata dalle raffiche d’aria dell’elicottero, che pochi metri davanti a lui atterra e presto si rialza: intorno alle 15 di ieri, dallo spiazzo sopra il lago Fedaia, il velivolo fa sei viaggi nel giro di una mezz’ora. Porta in quota otto tecnici e tre radar. «Saremo in grado di rilevare movimenti minimi, al di sotto del millimetro», spiega con un leggero accento toscano il professor Nicola Casagli, docente di geologia applicata dell’Università di Firenze, arrivato con il suo gruppo di ricerca sulla Marmolada dopo aver già lavorato con la Protezione civile sulla valanga di Rigopiano e sul naufragio della Costa Concordia.

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A tre giorni dal distacco che ha travolto gli escursionisti, si gioca ora una contesa tra scienza e natura. Obiettivo: interpretare come si comporterà il gigantesco pezzo di ghiacciaio mutilato e rimasto ancora aggrappato lassù. «Installiamo tre radar. Il primo è un doppler, in grado di intercettare spostamenti rapidissimi e impulsivi, tipo quelli delle valanghe, e dare l’allarme». Sarà decisivo per gli uomini del soccorso alpino che, da domani, inizieranno a scandagliare il terreno alla ricerca dei resti non più con i droni, ma a terra. Casagli è l’esperto del «dopo»: l’uomo che impiega le sue conoscenze per evitare che, dopo un disastro, se ne generi un altro. La sfida tecnologica: leggere movimenti infinitesimali nel corpo di una massa mastodontica. Si parte da un dato, su cui il docente riflette alzando lo sguardo verso lo squarcio d’azzurro vivo sotto la vetta: «Cadrà anche ciò che resta del ghiacciaio». È una certezza? «Basta guardare a occhio nudo, s’è formata una parete verticale. Verrà giù. Bisogna vedere se accadrà tutto in uno schianto, o in parti più piccole». Quando potrebbe accadere? «Siamo qui per capire quando sarà il momento».

Gli altri due radar sono interferometri: «Immagazzinano immagini con oltre un milione di punti, che possono essere confrontate con quelle successive. In questo modo, si riescono a leggere movimenti anche minimi, inferiori al millimetro appunto, che possono essere segnali di instabilità prima della nuova frana». Gli ipersensibili «occhi» puntati sul ghiacciaio monco (ma probabilmente ancor più grande della parte distaccata) sono stati installati ieri pomeriggio all’altezza del rifugio a quota 2.700 metri, che è stato la tappa intermedia degli escursionisti prima dell’ultima frazione dell’ascesa. I geologi hanno stimato anche quale potrebbe essere l’«intervallo di salvezza», cioè il tempo in cui, se venisse giù una nuova frana ghiacciata, le persone impegnate nelle ricerche al di sotto verrebbero travolte. Per buona parte della traiettoria di caduta, quell’intervallo, spiega il docente, «non sarebbe superiore ai venti secondi, probabilmente anche meno. Dunque un tempo non sufficiente per trovare un riparo».

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