“L’innovazione non sia contro i poveri”

Cosa altro la preoccupa?

«Non credo che i Paesi dell’Africa e dell’Asia sposeranno subito l’elettrico. Chi darà loro le auto? Temo che questa fase di adattamento possa durare molti anni e l’Europa dovrà fare le sue scelte. Se investi sulle linee di produzione dell’elettrico, poi è molto difficile tenere in piedi stabilimenti che lavorano con metodologie tradizionali. Diventa tutto più complicato. E poi naturalmente c’è un’altra questione che a mio parere è stata sottovalutata: l’Europa non ha sull’elettrico la leadership tecnologica».

Possiamo correre per attrezzarci?

«Fino a un certo punto. Le batterie oggi si comprano in Cina o in America».

Si possono avviare fabbriche europee?

«Sì, ma tutto questo non si fa in un amen e ha un costo elevato. Inoltre il problema delle materie prime, a cominciare dal litio, non è superabile».

Potremmo sganciarci dalla Russia per dipendere dalla Cina?

«Non è un’opzione così improbabile e dobbiamo soppesare anche sul piano geopolitico quello cui andiamo incontro. La conversione all’elettrico sicuramente avvantaggia Pechino e anche questo elemento deve essere analizzato sulla bilancia dei nostri interessi. C’è davvero il rischio di dare una mano al regime cinese ma soprattutto non possiamo dimenticarci in questa fase delle famiglie il cui potere d’acquisto viene eroso dall’inflazione galoppante».

In conclusione, dobbiamo cercare un compromesso?

Sì, immaginare alcune deroghe o ipotizzare un altro calendario non vuol dire tradire l’avvio di una nuova stagione che tutti vogliono. Vuol dire solo fare i conti con la realtà che è cambiata in questi mesi: spero che la sinistra se ne accorga e corra ai ripari invece di difendere in modo astratto schemi ormai superati».

IL GIORNALE

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