Si chiude un altro capitolo della Guerra Fredda. La “finlandizzazione” esce dal tavolo negoziale

Angelo Allegri

Un altro capitolo della guerra fredda si è formalmente chiuso. E d’ora in avanti il termine «finlandizzazione», rimasto in vita, pur se come semplice simulacro, anche dopo la caduta del Muro, è per sempre consegnato agli archivi della storia. Per gli interessati è stato un percorso lungo e tormentato. Nei primi anni 2000 i sondaggisti spiegavano che il 70% dei finlandesi era con decisione contrario all’adesione del loro Paese all’Alleanza Atlantica. Ancora nel 2019 la maggioranza della popolazione era per il no. Poi l’invasione dell’Ucraina ha cambiato tutto e la sintesi migliore l’ha fatta, l’altro ieri, il presidente finlandese Sauli Niinistö. Per spiegare la decisione si è rivolto direttamente ai russi: «Se volete sapere chi l’ha provocata, guardatevi allo specchio: siete stati voi».

A usare per l’ultima volta la storia recente della Finlandia come esempio di neutralità da imitare erano stati i diplomatici francesi, che nei giorni immediatamente precedenti l’invasione dell’Ucraina, avevano disperatamente cercato di proporre per Kiev una strada simile a quella seguita da Helsinki nei decenni passati. Putin ha respinto ogni sforzo, buttando a mare un possibile modello utilizzabile anche per la crisi attuale. Per la dirigenza russa questo sembra ancora il momento delle scelte nette: o con noi o contro di noi. Chi chiede di lasciare la strada delle armi per imboccare quella della trattativa dovrebbe fare i conti con l’apparente disinteresse di Mosca verso sfumature e compromessi.

Proprio sui compromessi si è basata la vita pubblica finlandese per gran parte del dopoguerra. A presidiare i buoni rapporti con la Russia, e a fare di questa caratteristica la garanzia principale per la propria sopravvivenza politica, è stato un personaggio ormai leggendario nella storia del Paese nordico: il presidente Urho Kekkonen, in carica per la bellezza di 26 anni tra il 1956 e il 1982 (a cui si aggiungono 6 anni da primo ministro).

Sotto la sua guida l’intera politica finlandese diede prova di un feroce realismo politico, evitando ogni tipo di attrito con il potente vicino, pesando con il bilancino avvicinamenti all’una e all’altra parte. Quando, nel 1972, Helsinki firmò il primo accordo con l’allora Comunità Europea, subito si rese necessaria la necessità di un riequilibrio: dall’anno dopo la Finlandia iniziò a partecipare con il ruolo di osservatore ai lavori del Comecon, l’associazione economica dei Paesi comunisti. Nel 1974 una delle maggiori case editrici del Paese ricevette l’offerta di pubblicare il testo di Arcipelago Gulag. Per ragioni di opportunità preferì rinunciare e in Finlandia il fondamentale racconto sull’universo concentrazionario sovietico verrà pubblicato solo anni dopo (per la cronaca in Italia il testo vide la luce proprio nel 1974). Uno dei tre principali partiti del Paese, il National Coalition Party (in molte tornate elettorali al secondo o al terzo posto quanto a voti), fu escluso per decenni da ogni coalizione, proprio per il suo accentuato carattere europeista e filo-occidentale.

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