Revocati gli assessori, Musumeci azzera la giunta e sfida i franchi tiratori

Francesco Storace

Il Colle fa ballare anche la Sicilia. L’assemblea regionale ieri ha fatto mancare un gruzzolo di voti al presidente eletto dai siciliani, Nello Musumeci, per i grandi elettori da mandare a Roma per l’elezione del Capo dello Stato.

Sette-otto voti in meno della maggioranza. Musumeci non si è fatto intimidire e in diretta facebook ha annunciato l’azzeramento della giunta regionale siciliana. Se si approfitta del voto segreto per tentare di delegittimare istituzionalmente il governatore, è evidente che c’è il dovere di reagire e verificare chi ci sta e chi no a proseguire con lui la parte finale della legislatura.

Chi sono i franchi tiratori che hanno pensato di punire Musumeci piazzandolo in terza posizione fra i tre grandi elettori dell’isola? Il governatore non ne fa ancora i nomi, ma probabilmente si tratta anche di contese interne ai gruppi parlamentari della regione siciliana, che comunque bolla come «ricattatori» che approfittano di «mezzucci come il voto segreto».

Di qui l’azzeramento della giunta regionale. Musumeci chiederà ai partiti rose di nomi per gli assessorati, mantenendo nelle sue mani il timone del governo regionale. In buona sostanza, alla faccia di chi ne chiedeva le dimissioni, non lascia ma raddoppia.

Nel suo messaggio via social ai siciliani, Musumeci ha riferito che per quel tipo di votazione, «di solito il presidente dell’Assemblea è il più votato, come è normale che sia, poi c’è il presidente della regione che prende i voti della sua maggioranza e poi il rappresentante dell’opposizione che prende i voti dell’opposizione. Al presidente della Regione sono mancati 7-8 voti circa.

Sono stato eletto lo stesso ma il dato politico rimane. Perché mancano questi 7-8 voti? Se il voto fosse stato palese avrei avuto più voti, ma perché questi voti sono mancati? Perché alcuni deputati hanno pensato di compiere nei miei confronti quello che in gergo giudiziario si chiama atto di intimidazione. Si tratta di una sorta di resa dei conti». Che una persona seria come il governatore non può evidentemente tollerare, in una terra che troppo spesso ha sopportato una politica che si ricatta.

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