Piano Cartabia e toghe da rianimare

Vladimiro Zagrebelsky

Alla ministra Cartabia è stata assegnata la responsabilità del ministero della Giustizia in un contesto di estrema difficoltà. Il quadro politico è quello che è, segnato da tempo, nel campo della giustizia, da paralizzanti scontri ideologici o di interesse e ora costretto a comporsi in una maggioranza parlamentare tanto ampia quanto eterogenea. La ministra nella intervista di alto respiro rilasciata ieri a questo giornale, mostra di esserne del tutto consapevole. La titolare della Giustizia adotta il metodo di lavoro della prudenza che smussa gli angoli, unendovi il forte richiamo al dovere morale e politico di curare una istituzione la cui salute è vitale per la Repubblica. Numerosi problemi specifici sono stati lasciati irrisolti dai precedenti governi e non possono rimanere senza soluzione: prima fra tutte la questione dell’insostenibile durata della giustizia civile, penale, tributaria, amministrativa. Di essi si occupano ora i qualificati gruppi di lavoro che la ministra ha nominato per rivedere i testi già pendenti in Parlamento.

A loro ha anche affidato il compio di preparare gli emendamenti che presenterà il governo. Si tratta di un lavoro importante e c’è da augurarsi che le proposte vengano accolte in Parlamento senza farne terreno di scontri propagandistici, alla ricerca del “bene comune” richiamato dalla ministra. Tra i temi in discussione ve ne sono alcuni che riguardano l’ordinamento giudiziario, le leggi cioè che definiscono il sistema complessivo del reclutamento, della destinazione alle diverse funzioni e della deontologia dei magistrati professionali, oltre che di quelli onorari. Ma il più visibile – la legge elettorale del Consiglio superiore e la “lotta alle correnti”- è in gran parte di facciata, mentre è venuto il momento di affrontare temi di fondo. L’ordinamento giudiziario in vigore è il frutto di ripetute modifiche, sull’impianto fondamentale che è del 1941.

Risalendo alle origini si trovano i testi piemontesi e prima ancora quelli della Francia napoleonica. L’idea di fondo è quella del magistrato funzionario, bocca della legge da cui dipende. Nel frattempo quella finzione è stata definitivamente svelata. È così emerso il problema – processuale, ma soprattutto culturale – di come render compatibile l’attività individuale del giudice nell’applicare ed enunciare il diritto, con il ruolo che è proprio dell’istituzione giudiziaria nel suo complesso. Prevedibilità e stabilità della giurisprudenza sono in gioco. E quindi anche il ruolo della Cassazione ora impedita dalla massa dei ricorsi, prodotti dalle migliaia di avvocati in Italia abilitati a difendere davanti ad essa. Tema di grande e difficile portata, che deve essere affrontato con la definizione dei limiti del campo di intervento dei giudici, della capacità del sistema di decidere la quantità di controversie che gli sono rimesse, delle alternative possibili alla tutela giudiziaria dei diritti. Per non parlare del diverso e specifico problema del pubblico ministero. Tutto questo, tutto insieme è da affrontare. Non sarebbe adeguato farlo nel solo ristretto e finora improduttivo campo dei professionisti della giustizia, magistrati e avvocati, dimostratisi soprattutto conservatori, capaci di scontrarsi nell’inutile bricolage dei ritocchi dell’esistente.

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