Coronavirus, un piano per i bambini

a cura di Niccolò Carratelli

La minaccia delle mutazioni: “Più pericolose per i minori”

Lo vediamo dall’inizio: più si è giovani e meno si rischia di contagiarsi e ammalarsi di Covid. O, comunque, si sviluppano forme meno gravi. Sul perché ci sono varie ipotesi, gli scienziati non sono ancora riusciti a dare una riposta univoca. Ma questa sorta di immunità generazionale era più marcata di fronte alla prima versione del virus: dallo scorso autunno, con la comparsa delle varianti, lo scenario è cambiato e si sono verificati focolai rilevanti anche tra i bambini e gli adolescenti. Motivo per cui il governo si è visto costretto a chiudere per un periodo tutte le scuole nelle regioni rosse. In Umbria, ad esempio, a febbraio è stato registrato un forte aumento dell’incidenza dei contagi nei bambini fino a 10 anni. A marzo in Puglia sono state rilevate quasi 600 infezioni tra neonati e bimbi fino a 2 anni, con un +32% tra la prima e l’ultima settimana del mese. Sempre a marzo, all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze hanno dovuto affrontare un picco di ricoveri, con il reparto Covid pieno e diversi minorenni in terapia intensiva. I casi davvero gravi restano una minoranza, ma è un fatto che le varianti del virus, in particolare inglese e brasiliana, abbiano causato il ricovero di bambini e adolescenti come mai era avvenuto nella prima fase della pandemia.
Il rischio del “Long Covid”: il 50% ha sintomi per mesi
Si contagiano e lo superano, apparentemente senza conseguenze. Nella maggior parte dei casi senza sintomi o con pochi sintomi non gravi. Anche se negli ultimi mesi, a causa delle varianti del virus, sono aumentati gli under 16 colpiti da polmoniti interstiziali e i ricoveri in ospedale, in Italia i minorenni morti a causa del Covid, in oltre un anno di emergenza, sono stati solo 20. Ma in molti bambini e adolescenti che si sono infettati (poco più di mezzo milione, secondo l’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di sanità) sono stati riscontrati effetti a lungo termine, il cosiddetto «Long Covid». È una sindrome che colpisce anche gli adulti, con sintomi variabili e debilitanti che persistono per mesi dopo la guarigione clinica. Secondo uno studio realizzato al Policlinico Gemelli di Roma, più della metà degli under 16 coinvolti lamentava almeno un sintomo 4 mesi dopo la ritrovata negatività. Affaticamento, dolori muscolari e articolari, cefalea, insonnia, problemi respiratori e palpitazioni, disturbi della concentrazione e della memoria: 4 pazienti su 10 hanno riferito di aver visto compromesso lo svolgimento delle proprie attività quotidiane. Non si ammalano gravemente, ma rischiano di diventare malati cronici. 

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