Un mondo più difficile per l’Italia

Questa vicenda è un aspetto di un problema più generale. Possiede l’Italia le capacità e le qualità (politiche, istituzionali e, prima ancora, morali) per cavarsela nel «mondo nuovo», per fronteggiare al meglio le nuove condizioni internazionali? Sapremo convivere con il multipolarismo? Esso è conseguenza del declino (relativo) della potenza occidentale, Stati Uniti ed Europa, dell’ascesa di altre grandi potenze (Cina in primo luogo) e degli accresciuti margini di manovre di molte medie potenze (la Turchia è solo una di esse). Mentre, durante la Guerra fredda, gli schieramenti erano rigidi, e i comportamenti prevedibili, dagli anni Novanta in poi, una lunga transizione ha portato il mondo dove esso è oggi. Il multipolarismo ha i caratteri della complessità (superiore a quella del vecchio sistema bipolare Usa/Urss), dell’instabilità e dell’imprevedibilità.

Per un Paese come l’Italia si è trattato del passaggio da un mondo nel quale si poteva volteggiare nell’aria avendo sotto una solida rete di protezione (le alleanze occidentali) a un mondo nel quale le alleanze ci sono ancora ma la rete di protezione ha tanti buchi, ci protegge meno. Durante la Guerra fredda la «politica dei blocchi», come allora si chiamava, imponeva la disciplina anche a una democrazia difficile come la nostra. Nel nuovo sistema multipolare, molto più flessibile, i vincoli esterni si sono allentati. È un guaio soprattutto per l’Italia la quale continua ad avere, come un tempo, governi istituzionalmente deboli e intense divisioni identitarie (che altro è, se non una divisione sul modo di intendere l’identità italiana, la contesa sull’Europa?). Il tutto aggravato dalla scomparsa del collante rappresentato un tempo dai partiti di massa.

Immaginiamo lo scenario peggiore al fine di meglio esorcizzarlo. Poniamo che sia vera l’idea di Putin, ma non solo sua, secondo cui l’Italia, con le sue fragilità, sia l’anello più debole della catena occidentale. Si potrebbe domani immaginare un’Italia campo di battaglia politica ove uno schieramento «occidentale» deve vedersela con una agguerrita fazione filorussa, e magari anche con una filocinese. Mentre, contemporaneamente, vari segmenti della classe dirigente mantengono legami privilegiati con una pluralità di gruppi esterni (turchi, iraniani eccetera), ostili alla comunità euro-atlantica di cui facciamo ancora parte.

In un mondo così turbolento la competizione democratica (elettorale), dovrebbe coesistere con una diffusa consapevolezza dei pericoli e un accordo di massima su come fronteggiarli. Date le nostre tradizioni, è un obiettivo difficilmente raggiungibile. Al momento, l’Italia può farsi forza del prestigio internazionale di Mario Draghi. Per il futuro, si deve sperare che l’attuale tregua fra i partiti, imposta dall’emergenza, serva a diffondere, nei vari luoghi in cui è tuttora assente, un po’ di saggezza.

CORRIERE.IT

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