Cluster ombra e finti positivi: quanto incidono gli errori sulle chiusure?

Un errore umano?

“Come è possibile un errore così esteso?”, si chiede uno dei falsi positivi della Scala che ora può tornare a mettere il naso fuori di casa. “Si è trattato di un errore umano o c’è qualcosa che non va con i tamponi?”. La voce che corre nei corridoi è che ci siano stati problemi con i reagenti. Difficile stabilirlo. Ci penserà l’università di Padova a cui è stato inviato l’intero dossier. Ma la domanda è più che lecita. Anche perché quello del teatro milanese non è certo un caso isolato. Anche sul set di House Gucci, il film diretto da Riddley Scott che ha portato Lady Gaga e Adam Driver a girare in Italia, i test hanno rivelato essere negativi alcuni casi che inizialmente erano risultati positivi.

I rischi sul monitoraggio

C’è un primo fattore da considerare. Il falso focolaio alla Scala è stato scoperto perché i ballerini sono stati sottoposti a una sfilza di tamponi in serie. Non tutti i cittadini, però, possono godere di simile trattamento. Stando alla circolare del ministero della Salute, il protocollo prevede solo per i test antigenici risultati positivi un ulteriore controllo con test molecolare proprio per evitare il rischio di falsi positivi o falsi negativi. Non è previsto, invece, nel caso di tampone molecolare: su quello si è sempre stati certi del risultato, il ministero lo considera il “gold standard”, per cui il test di controllo viene fatto solo dopo alcuni giorni di quarantena (che variano se si è sintomatici o asintomatici) per permettere il rientro in società. Il problema non è tanto o non solo l’effetto che questi “errori” procurano ai singoli malcapitati. Restare inutilmente in casa è un dramma tutto sommato superabile.

Diverso il discorso se il buco lo si osserva su larga scala. L’analisi del rischio su cui si basano le scelte del governo su zone bianche, rosse e gialle, infatti, poggia le sue fondamenta proprio sui tamponi risultati positivi. Da qualche tempo, per volere del ministero della Salute, nel calderone entrano sia gli antigenici rapidi che i molecolari. Sui primi non pochi (tra cui Crisanti) ritengono abbiano un margine di errore troppo alto. Ma fino ad ora nessuno aveva mai messo in dubbio la precisione dei tamponi classici. Il fatto è che se un caso come quello della Scala si ripetesse in altre situazioni, a scricchiolare potrebbe essere tutto l’impianto sull’analisi del rischio. Gli indicatori sulla trasmissione del contagio, su cui si basa il monitoraggio della cabina di regia, riguardano tra le altre cose: l’aumento dei casi rispetto alla settimana precedente; l’Rt maggiore o minore di uno; l’aumento dei focolai. Tutti fattori che dipendono direttamente dalla “qualità” dei dati dei tamponi: se nel calderone finiscono pure i falsi positivi, magari non riscontrati, che cosa succede?

Lo stesso dicasi per l’analisi della reslienza territoriale. In questo caso a entrare in gioco, tra le altre cose, c’è anche l’aumento della percentuale di positività al tampone. Un dato che potrebbe essere invalidato dai falsi positivi, visto che si cerca di tenere fuori il “retesting” degli stessi soggetti (quello che, però, alla Scala ha permesso di trovare l’errore). Va detto che l’Iss valuta i numeri dopo alcuni giorni dalla loro raccolta, proprio per evitare errori di questo tipo. Ma il caos sulla zona rossa in Lombardia, dove l’algoritmo dell’Iss si è inceppato sovrastimando l’Rt, insegna che in situazioni epidemiologiche di questa portata la perfezione è una chimera. C’è pure un’altra questione da tenere a mente. Il prossimo Dpcm potrebbe prevedere che in caso di un’incidenza superiore a 250 casi ogni 100mila abitanti, i territori colpiti verranno fatto passare in automatico in zona rossa. Essere allora sicuri al 100% che i tamponi molecolari non facciano scherzi è fondamentale. Anche per la salute dell’economia.

IL GIORNALE

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