Riaperture, settimana chiave: ristoranti e centri sportivi gli osservati speciali. Nei ristori prestiti allungati

di Andrea Bassi e Marco Conti

Non è stato mai facile trovare un equilibrio tra le due emergenze, ma dopo un anno di bollettini quelli sanitari cominciano a pesare quanto quelli economici. Sarà anche il cambio nella composizione della maggioranza, e in qualche ministero chiave, che la pressione per misure di contenimento più ponderate trova sponde nel presidente del Consiglio. 

L’appuntamento è per il 5 marzo quando scade il Dpcm di Conte e occorrerà metter mano ad un nuovo decreto che segni una certa discontinuità con il passato, pur tenendo in considerazione i numeri della pandemia. Uno screening dei settori maggiormente colpiti dalle chiusure è in corso a palazzo Chigi e serve non solo per mettere a punto il decreto ristori, ma anche per capire se qualche attività può essere riaperta o non più penalizzata nell’orario. Semplificare tabelle e cambiare i parametri, come chiedono le Regioni, ma sempre con un occhio ai numeri sulla circolazione del virus. È per questo che Draghi attende il report del venerdì dell’Istituto superiore di Sanità – con tanto di valutazioni sulla pericolosità delle varianti – prima di metter mano a nuovi criteri che potrebbero permettere, in alcune zone, la riapertura anche ad attività che non hanno mai riaperto, come le palestre, cinema e teatri o che hanno forti limitazioni, come i ristoranti.

Intanto il neo ministro dell’Economia Daniele Franco sta iniziando a lavorare al dossier ristori. Il decreto c’è, ma è quello lasciato in eredità dall’ex ministro Roberto Gualtieri. Se la decisione sarà di accelerare e forzare i tempi, anche per andare incontro alle richieste arrivate dalle Regioni, sarà difficile scostarsi molto dall’impianto del provvedimento di 37 miliardi predisposto dal precedente governo. Del quale alcune cose sono ormai note. La prima è che il meccanismo dei codici Ateco sarà superato. Gli indennizzi terranno conto dei costi fissi delle attività chiuse: gli affitti, il personale, le bollette energetiche. Ma dal conteggio del “ristoro”, dovranno essere sottratti gli aiuti già erogati, come la Cassa Covid o i crediti di imposta sulle locazioni. Resterà il principio secondo cui per avere accesso all’aiuto pubblico, bisognerà aver subito una perdita di fatturato che al momento oscilla tra il 33% e il 50% nel 2020 rispetto al 2019. Ma la novità che potrebbe emergere in realtà è un’altra. Al Tesoro ci stanno lavorando sottotraccia, anche perché per poterla attuare servirà un via libera da parte della Commissione europea.

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