Crisi di governo, il piano di Conte: allargare la maggioranza, altrimenti si va a casa

Li ha cercati fino all’ultimo, attaccandosi al telefono e compulsando Franceschini, l’uomo delle trattative seduto al suo fianco: «Giuseppe, siamo bassi, tra 154 e 156». Pochini rispetto alla sottile linea rossa fissata da Renzi a 161, tanti rispetto alla battuta amara di Guerini: «Sopra a 145 va tutto bene». Chiaro che non è così, senza maggioranza assoluta nelle commissioni sarebbe un Vietnam. Tanto che diversi ministri ritengono inevitabile, da qui a poco, il passaggio ad alto rischio verso un Conte ter. Lui non vuole arrendersi, ha digerito il rimpasto e non si fida ad andare oltre. «Conte non promette posti, gioca pulito», assicurano i suoi. E comunque, se pure fosse, nel piatto ci sono solo Agricoltura, Famiglia e un sottosegretario. Poi c’è la delega ai Servizi segreti, che sembrava destinata al segretario generale di Chigi Roberto Chieppa e che invece potrebbe tornare in palio.

Nencini, che detiene il simbolo del Psi, gli ha detto in sostanza «fammi vedere le carte, progetto e programma». All’ultimo secondo si è convinto e molti si aspettano che farà il ministro. Quagliariello respinge «annessioni», ma non ha sbattuto il telefono in faccia a Conte. E così i tre senatori Udc, De Poli, Saccone e Binetti. Per Zingaretti «la porta è strettissima» e l’avvocato lo sa. Il premier in Aula si è commosso. All’ultima frase della replica, «non mi vergogno di dire che siamo seduti su queste poltrone, l’importante è farlo con disciplina e onore», la voce del presidente si incrina. Più tardi, a telecamere spente, spiegherà perché non ha seguito l’ex alleato sul piano inclinato dello scontro personale: «Con un Paese che soffre ed è così in difficoltà, provare rancore significherebbe essere ripiegati su se stessi». Come il senatore di Italia viva, insomma, che gli ha rinfacciato la «paura di salire al Quirinale per dare le dimissioni», il record di decessi Covid e anche di avergli offerto «un incarico internazionale» per levarselo di torno.

Conte incassa le accuse, prende appunti e manda giù sorsi d’acqua per ingannare il nervosismo. Al momento della replica punta l’indice della mano sinistra contro il banco del senatore di Rignano. Questa volta chiama Renzi per nome, gli rimprovera le «poco onorevoli polemiche» sulle vittime del virus, l’aver «distrutto mediaticamente» e bloccato il Recovery e infine le provocazioni sulle poltrone. E la guerra continua.

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