La gogna mediatica alimentata dal dibattito pubblico

Laura Boldrini

Edizione del 27.11.2020

Pubblicato 26.11.2020, 23:59

Aggiornato 28.11.2020, 10:03

Ringrazio il manifesto per la disponibilità a pubblicare l’intervento che avevo scritto in occasione della giornata del 25 novembre per il blog sull’Huffington post. Intervento che il direttore Mattia Feltri ha rifiutato di pubblicare per via di un riferimento critico a Vittorio Feltri, suo padre.

Una maestra di Torino le cui immagini intime destinate al fidanzato sono state fatte circolare dallo stesso, una volta diventato ex, provocandone il licenziamento dalla scuola, dopo essere stata esposta al pubblico ludibrio di un’intera comunità.

Una diciottenne sequestrata e stuprata da un noto imprenditore nel suo attico di Milano, riuscita a scappare in strada salvandosi così, probabilmente, anche la vita. Un uomo che tenta di uccidere la moglie e la suocera, gravissime ora in un letto di ospedale, e che prova a suicidarsi prima di venire arrestato. Questo è successo solo negli ultimi giorni.

Ho ripercorso la cronaca perché dobbiamo aver chiaro di cosa stiamo parlando: la violenza degli uomini sulle donne è una strage quotidiana. Una «violazione dei diritti umani», l’ha definita in passato il presidente Mattarella, centrando in pieno la gravità della questione: quella di uno sfregio inferto a tutta la società e alla democrazia.

Ne celebriamo la Giornata di contrasto voluta dall’Onu, ricordandone tutte le forme di manifestazione: da quella fisica a quella psicologica, dal femminicidio allo stupro, dalla violenza domestica allo stalking, dalla molestia all’odio in rete.

Snoccioliamo dati, come sempre allarmanti. Ricordiamo le vittime, come sempre addolorati. Parliamo delle leggi, come sempre più convinti della loro bontà. Tutto giusto, tutto vero, tutto sincero. Ma restiamo, come sempre e ancora oggi, in difetto rispetto alla sfida più grande: realizzare una rivoluzione culturale, un cambio della mentalità collettiva, a partire dalla parità fra i sessi, in particolare fin dall’educazione delle bambine e dei bambini.

Quando dico rivoluzione culturale e cambio di mentalità intendo in tutti gli ambiti, ma veramente in tutti. Anche nella narrazione che sui media viene fatta della violenza di genere.

Ed anche qui la cronaca, purtroppo, ci dice molto.

Lo ha denunciato bene e con coraggio Chiara Ferragni, influencer con 22 milioni di follower il cui contributo può essere prezioso per mandare un messaggio chiaro di libertà e rispetto, soprattutto alle più giovani.

C’è sempre un sottinteso nella narrazione, anzi spesso una palese e volontaria ricostruzione di particolari che finiscono con lo spostare il peso della colpa dalla vittima all’aggressore: «era ubriaca», «era vestita in modo provocante», «lui era geloso», «erano noti i problemi della coppia», «era una escort». Come ci fosse una giustificazione per un crimine in chi se ne macchia, come ci fosse, soprattutto, una colpa da parte di chi lo subisce.

Si chiama victim blaming. Ed è parte, grande, del problema, rispetto a cui il ruolo dell’informazione è centrale. E mi riferisco polemicamente a quei giornali che fanno di misoginia e sessismo la propria cifra. Cosa dire del resto dell’intervento di Feltri su Libero, in cui si attribuiva la responsabilità dello stupro non all’imprenditore Genovese ma alla ragazza diciottenne vittima?

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