Niente aumenti? Gli statali fanno sciopero. Ma la rivolta è un boomerang: irresponsabili

di CLAUDIA MARIN

Raccontano che i vertici di Cgil, Cisl e Uil non si aspettassero l’attacco, apparentemente a freddo, del premier Giuseppe Conte sulla condizione privilegiata dei dipendenti pubblici rispetto alle partite Iva e ai lavoratori autonomi travolti nel vortice della pandemia. Il j’accuse del presidente del Consiglio è arrivato quando la macchina dei sindacati di categoria si era già messa in moto, con la proclamazione dello sciopero del settore pubblico per il 9 dicembre. Motivo: il rinnovo del contratto, cioè l’aumento di stipendio. Mossa che è stata accolta da un coro di reazioni indignate dal mondo politico, per una volta unito da destra a sinistra, salvo il silenzio imbarazzato del Pd.

A cominciare dal ministro della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone: “Sanità, scuola, Comuni: proviamo a difendere il Paese in questa guerra non decisa dal governo o da chi combatte ogni giorno. Eppure qualcuno pensa di bloccare l’Italia e mettere a rischio la già fragile tenuta sociale. Ciascuno si assumerà le proprie responsabilità”.

Ma anche all’interno dello stesso sindacato, la scelta dei rappresentanti degli statali viene criticata più o meno velatamente, per l’effetto boomerang che produce, dalle sigle del lavoro privato, dal commercio al turismo, dai metalmeccanici ai chimici, che fanno i conti con milioni di lavoratori in cassa integrazione e con la prospettiva dei licenziamenti di massa a marzo. Tanto che, nell’ambiente, è comune una considerazione: “Altro che aumenti, dovrebbero avere la cassa integrazione anche loro”.

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