La scuola e i concorsi da fare

C’è un ulteriore motivo per reclutare i dipendenti pubblici mediante valutazioni imparziali del merito, aperte a più concorrenti, e questo riguarda specificamente la scuola. L’istruzione è un fattore chiave del benessere individuale, della crescita economica, della partecipazione politica. Se si vuole trasferire potere al popolo, il mezzo migliore è l’istruzione. Essa è invece il tallone d’Achille italiano. Siamo al penultimo posto tra i Paesi Ocse per quota di persone tra i 25 e i 39 anni con qualificazione terziaria (28 per cento, contro una media Ocse del 44 per cento e Canada, Giappone e Corea del Sud al 60 per cento). Siamo al primo posto per quota di popolazione tra 15 e 24 anni che non lavora, non studia, non si addestra (cosiddetti Neet). Gli studenti italiani sono sotto la media dei Paesi Ocse per capacità di lettura, in matematica e in scienze. Circa la metà della popolazione appartiene alla categoria degli analfabeti, degli analfabeti di ritorno o degli analfabeti funzionali. Abbiamo, quindi, un enorme bisogno di istruzione, e quindi di buoni insegnanti, non per dare loro un posto, ma per consentire all’Italia di aver un posto tra i Paesi sviluppati. Per questo non ci possiamo permettere di assumere insegnanti senza un criterio e senza una autentica selezione comparativa (non dimentichiamo che l’ultimo concorso per la scuola fu svolto quattro anni fa, che tra dieci anni vi sarà nelle scuole italiane un milione di studenti in meno, che nell’aprile scorso sono stati banditi due concorsi ordinari, aperti a tutti, per poco più di 45 mila posti, a cui si candidano 500 mila concorrenti).

C’è un ultimo e più generale motivo per assumere personale con procedure selettive e competitive. Lo Stato, se vuole che la società rimanga coesa, deve avere e rispettare un minimo di regole comuni, perché non esiste uno Stato «fai da te». Non può, sotto la spinta dell’emergenza (ma in Italia siamo sempre in emergenza) creare regimi di eccezione. In questo caso, un regime che invoglierebbe tutti a conquistare un posto precario per poi ottenere il posto di ruolo. Far abituare all’idea che basti mettere il piede nella porta socchiusa, per poi spalancarla, corrode quell’affidamento nel rispetto delle regole (in questo caso, una norma costituzionale) che unisce una comunità statale, e insinua la sfiducia nel tessuto sociale. Non bisogna, quindi, abbattere quella diga che regge la società, in questo caso quella che dà a tutti parità di «chance», selezionando in base al criterio del merito e rispettando le regole che valgono per tutti. In particolare nella scuola, in un Paese in declino da un quarto di secolo, occorre coltivare l’idea che a tutti sono aperte tutte le strade, se sanno dimostrare di esser capaci e meritevoli. Quelli che si riempiono la bocca con la parola popolo dovrebbero ricordare che questo è composto di cittadini con gli stessi diritti e che i privilegi chiudono la porta ad alcuni. Un plauso alla ministra Azzolina: non ceda.

CORRIERE.IT

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