Perché fermò il Paese? Conte spieghi quella decisione (forse inevitabile)

di RAFFAELE MARMO

Forse nessuno può oggi giudicare, allo stato degli atti e degli eventi in corso e, soprattutto, con il senno di poi, che cosa il governo avrebbe potuto fare di diverso nei giorni cruciali e terribili di inizio marzo quando decise il lockdown dell’intero Paese. La pubblicazione, ancora parziale, dei verbali del Comitato tecnico scientifico, però, apre sicuramente lo spazio per una prima riflessione con molteplici domande possibili. A cominciare da quella cruciale e decisiva: come mai Giuseppe Conte e Roberto Speranza stabilirono di chiudere tutta l’Italia quando gli scienziati e gli esperti consigliavano di procedere per blindature territoriali e parziali?

Come mai, insomma, la politica decise di arrivare dove la scienza non suggeriva di arrivare?

Di certo il balletto e la controversia sulla divulgazione dei verbali, con le resistenze del premier alla desecretazione degli atti, non depongono a favore di un’interpretazione lineare e trasparente sui motivi di una scelta che ha avuto effetti rilevantissimi sull’economia e sulla società italiana. Ma questo è solo una considerazione derivata.

Se guardiamo al cuore della vicenda, si può osservare che fino a oggi abbiamo avuto la consapevolezza che la politica abbia assunto decisioni sulla base delle indicazioni del Cts e che semmai le deroghe o le deviazioni del governo siano state di segno aperturista rispetto al rigore dei limiti sanitari: e questo perché la politica ha l’esigenza di contemplare anche altre urgenze e altri diritti, come quelli economici, civili, costituzionali in senso lato.

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