Il «presentimento» del Vaticano: trasferito a Roma tutto l’archivio segreto che era ad Hong Kong

di Massimo Franco

Forse il Vaticano aveva avuto un presentimento. Nell’estate del 2019, all’inizio dei moti di protesta, la Legatura apostolica di Hong Kong ha deciso di trasferire di nascosto nelle Filippine tutti i suoi documenti più riservati. E da lì sono stati portati in Vaticano, nell’ex Archivio segreto, oggi rinominato «apostolico», per paura che fossero sequestrati o distrutti dai militari e dall’intelligence cinesi. Può darsi che i vertici ecclesiastici percepissero non solo l’occasione storica ma le insidie di un rapporto ravvicinato con la Cina, formalizzato il 22 settembre 2018 con un patto di due anni mai reso pubblico per volontà di Pechino. Adesso, quella diffidenza sembra giustificata dalle notizie suun’infiltrazione nei server del Papa da parte di hacker cinesi, che sarebbe avvenuta a maggio: anche se Pechino parla di «congetture» senza prove.

Già nel 1997, all’inizio della lunga transizione di Hong Kong da colonia britannica a isola cinese a tutti gli effetti, seppure con un’autonomia speciale, la Santa Sede aveva riempito decine di valigie diplomatiche per mettere al sicuro i dossier più scottanti: destinazione Manila, perché ufficialmente l’ufficio della Santa Sede a Hong Kong risulta come «missione di studio», una sorta di nunziatura informale, legata alle Filippine. Un anno fa, l’operazione è stata completata con il trasferimento dei dossier a Roma. Insomma, proprio mentre continuavano le aperture al regime di Xi Jinping, gli analisti vaticani erano arrivati alla conclusione che presto l’Esercito di Liberazione sarebbe intervenuto per normalizzare la situazione. La distensione è andata avanti in questi quasi due anni a dispetto del giro di vite cinese sia a Hong Kong, sia contro la minoranza musulmana degli Uiguri, nell’estremo ovest dell’Impero di Mezzo; e nonostante le pressioni degli Stati Uniti, convitato di pietra tra il pontefice argentino e il «nuovo Mao», per isolare Pechino. La Casa Bianca ha mosso le sue pedine geopolitiche in questi mesi, creando una sorta di «corona ostile» di nazioni asiatiche preoccupate dall’espansionismo cinese. E la guerra fredda in incubazione tra i due Paesi sta prefigurando scelte destinate a mettere in mora l’equidistanza vaticana dagli schieramenti strategici internazionali.Il fatto che i vertici della Santa Sede non abbiano mai preso una posizione ufficiale contro la repressione in atto nella ex città-stato è stato visto a Washington come la controprova della volontà di continuare la marcia di avvicinamento a Pechino. Il Vaticano ha optato fin da febbraio su una «diplomazia del coronavirus» che ha portato a colloqui con gli interlocutori cinesi e a scambi di cortesie, osservati con irritazione dagli Usa. E ha preso corpo l’ipotesi di un prolungamento tacito di altri due anni dell’accordo provvisorio e segreto in scadenza a settembre. La scoperta dell’infiltrazione cinese da parte della società americana di monitoraggio Recorded Future si inserisce su questo sfondo politico-diplomatico.

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