Operazione autostrade: attenti allo statalismo

Ma la domanda è se questo segni un’altra tappa del domino dirigista che dovrebbe riportare allo Stato le industrie in perdita, nel segno di un assistenzialismo destinato a entrare in rotta di collisione con le norme europee e a riprodurre un’eredità di inefficienza e di sprechi. Oppure se si tratti di un’eccezione che non apre la strada alla vittoria culturale di un nuovo statalismo. Lo scontro che si è delineato in questi mesi riguarda due culture non solo economiche ma politiche. E ripropone le contraddizioni di un populismo grillino che predica moderazione; ma in parallelo pratica un estremismo fatto di slogan, e si mostra refrattario a qualsiasi principio di competenza e rispetto delle regole.

Se l’obiettivo della trattativa era di garantire continuità nella gestione dell’azienda e tutelare oltre 7 mila dipendenti, il risultato sembra almeno per il momento raggiunto. Di questo va dato atto al governo, nonostante la cattiva abitudine dei vertici e delle trattative notturni, nel segno dell’opacità e di una inclinazione a informare in modo studiatamente confuso. L’esaltazione dell’accordo, però, ha qualcosa di artificioso ed esagerato. La rapidità dei vertici del M5S e del Pd nel mostrarsi soddisfatti e concordi per l’epilogo è un tentativo evidente di puntellare la maggioranza in una delle fasi più convulse della sua breve vita.

Sostenere, come ha fatto il premier, che la trattativa è stata dura con la controparte e non nella coalizione, sa di verità politica. In realtà, le tensioni rimangono. La tempistica dell’uscita dei Benetton andrà verificata nei prossimi mesi: non a caso in teoria la revoca rimane sul tavolo come un’arma estrema. Si tenta di trasmettere all’opinione pubblica un messaggio di unità e di decisionismo, che dopo la prima fase del coronavirus sono vistosamente mancati. I riconoscimenti alleati a Conte dovrebbero mettere a tacere le voci di manovre per sostituirlo dopo l’estate: nel M5s, nel Pd e in Iv.

Ma l’applauso col quale i senatori grillini hanno accolto ieri il premier sbilancia pericolosamente Conte sui soli Cinque Stelle. In fondo, anche la scelta di non forzare la mano sul prestito del Mes, il Meccanismo europeo di Stabilità, rinviandolo non si capisce bene a quando, si inserisce nella stessa scia. Conte continua a dire che il Mes «non è all’ordine del giorno». Eppure, la trattativa con l’Europa sugli aiuti del Fondo per la ripresa si profila in salita. La cancelliera tedesca Angela Merkel lunedì scorso si è lasciata scappare un commento sul dossier autostrade, che il premier italiano ieri ha minimizzato con una punta di fastidio.

Forse bisognerà abituarsi alle battute europee sulle contraddizioni e i ritardi accumulati dall’Italia: soprattutto se il governo si preoccuperà solo di tacitare le caotiche falangi grilline. Per ora sono la sua garanzia di sopravvivenza. Tra qualche settimana potrebbero non bastare più a prolungare uno status quo spacciato come tappa di una virtuosa rivoluzione.

CORRIERE.IT

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