Coronavirus, in Germania a gennaio il primo contagiato europeo: “Da lui l’infezione fino in Italia”

Coronavirus in Italia: le ultime notizie

a cura di AGNESE ANANASSO, ELENA de STABILE, GIOVANNI GAGLIARDI e PIERA MATTEUCCI
Il paziente 1 di Monaco aveva mostrato i primi sintomi il 24 gennaio, dopo aver incontrato una collega proveniente da Shangai, poi risultata positiva. Nei quattro giorni seguenti sono risultati positivi anche molti dipendenti della stessa azienda tedesca. Il caso era diventato celebre a fine gennaio come esempio della capacità del coronavirus di trasmettersi anche in assenza di sintomi.

Sebbene la sede dell’azienda fosse stata chiusa dopo la comparsa dei primi casi, i ricercatori ritengono che il focolaio di Monaco possa essere collegato a una buona parte dell’epidemia in Europa, compresa l’Italia. “Il messaggio importante – rileva Bedford – è che il fatto che un focolaio sia stati identificato e contenuto non significa che questo caso non abbia continuato ad alimentare una catena di trasmissione che non è stata rilevata finché non è cresciuta al punto da avere dimensioni consistenti”. 

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La donna ha però cominciato a stare male durante il volo di ritorno in Cina, dove è stata trovata positiva al virus 2019-nCov il 26 gennaio. Il 27 ha informato i partner tedeschi delle propria positività e in Germania sono iniziati i test sui colleghi che l’avevano incontrata, fra cui l’uomo di 33 anni, che è stato trovato positivo al virus sebbene ormai asintomatico. Il 28 gennaio sono stati trovati positivi altri tre impiegati della stessa compagnia, che avevano avuto contatti con l’uomo quando era asintomatico.

“È da notare – scrivono gli autori della comunicazione – che l’infezione sembra essere stata trasmessa durante il periodo di incubazione, quando i sintomi erano lievi e non specifici” e aggiungono: “In questo contesto il fatto che il virus sia stato trovato in quantità rilevanti nell’espettorato dell’uomo anche nel suo periodo di convalescenza pone il problema della trasmissibilità del virus anche dopo il termine dei sintomi, sebbene tale carica virale rilevata con il test sia ancora da confermare attraverso una coltura del virus”.

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di TOMMASO CIRIACO “Il fatto che la viremia possa essere presente anche dopo la scomparsa dei sintomi era già noto” conferma Walter Ricciardi, rappresentante del Comitato esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e consigliere del ministro Speranza. “e ci deve indurre alla sorveglianza dei pazienti dimessi dopo ospedalizzazione, ai quali è consigliabile fare un tampone anche dopo le dimissioni”.

“Dalla Cina l’epidemia ha seguito tre vie”

“Va sfatato il mito che l’Italia abbia diffuso il virus”, ha detto Ilaria Capua, direttrice del centro ‘One Health’ dell’università della Florida. A partire dall’epicentro dell’epidemia, in Cina, – sostiene la virologa sulla base delle oltre 150 sequenze genetiche dei coronavirus finora pubblicate – il coronavirus ha seguito tra vie per diffondersi nel resto del mondo: una diretta in Europa, una verso gli Stati Uniti e la terza verso Sud, verso Corea e Australia.

“Il dato evidente – ha proseguito Capua – è che la dinamica dell’infezione in Europa è diversa da quella raccontata finora”. Le sequenze genetiche del coronavirus ottenute in Italia sono ancora poche, ma sufficienti per capire che “non sono stati gli italiani a diffondere l’infezione”.

E’ comunque inutile cercare ancora di rintracciare il paziente zero: potrebbe essere uno, ma potrebbero essere centinaia. Quello che sappiamo – ha proseguito la virologa – è che il nuovo coronavirus è arrivato in Europa dalla Cina probabilmente in gennaio, portato da centinaia di persone.
Adesso stiamo cercando di ricostruire gli ingressi multipli in Europa grazie alle sequenze genetiche”. Queste ultime sono depositate nelle due grandi banche dati chiamate Gisaid e GeneBank, a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo per essere analizzate.

Somiglianze e differenze che emergono dal confronto delle mappe genetiche indicano che “l’Europa si comporta come un’area unica”, ha osservato. E’ probabile che “una massa critica di persone con il virus arrivata in Europa abbia contribuito a diffonderlo. Non è stata soltanto l’Italia – ha concluso – a fare da cassa di amplificazione”.

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