Quanti errori. Ma dopo il virus tornerà il sole

di MICHELE BRAMBILLA

Siamo il terzo Paese al mondo per contagi(152 alle dieci di ieri sera), dietro solo alla Cina e alla Corea del Sud. In Germania si contano 16 casi, in Francia 12, in Gran Bretagna 9, in Spagna 2, in Belgio 1. Basterebbero questi numeri per chiudere ogni discussione sull’efficacia delle misure prese dal nostro governo fino all’altro ieri.
La scienziata Ilaria Capua, che pure – giustamente e doverosamente! – ci ricorda che il coronovirus è una brutta influenza e non la fine del mondo, ieri ha scritto che “alcuni hanno avuto l’ottimismo un po’ illusorio di fermare un virus con questo elevatissimo livello di trasmissibilità”. Per questo, ha scritto, ora “siamo tanto spaventati”.

Ora siamo tanto spaventati perché sono state prese misure mai viste. Forse neanche in guerra s’era chiuso tutto così, le scuole i cinema le chiese. Ci sono comuni interi con i cittadini costretti a stare chiusi in casa, e posti di blocco per evitare gli spostamenti. Il tutto in seguito a misure prese per rimediare agli errori delle prime settimane, quando per uno stolto pregiudizio ideologico non si sono ascoltati né i governatori del Nord (ora paralizzato) né gli allarmi dei virologi, i quali chiedevano la quarantena per chiunque arrivasse dalla Cina. Bastava aver letto i Promessi Sposi.

Ma proprio ora che un intero Paese è spaventato, occorre reagire. Intanto accettando – sì, accettando – la situazione di emergenza, la convivenza con il pericolo, lo stop o il rallentamento al nostro ritmo di vita. La storia dell’umanità è fatta anche di queste cose, di interruzioni della normalità che si chiamano pestilenze, terremoti, alluvioni. E questa del coronavirus – lo confermano i dati sulla mortalità – non è certo una delle peggiori.
Bisogna saper convivere con la difficoltà e perfino con la paura usando la ragione, la quale ci pone subito, come evidenza, la sproporzione fra il coprifuoco e il pericolo. Era necessario, ormai, prendere provvedimenti così: ma stiamo parlando di una malattia dalla quale quasi sempre si guarisce. La peste e il colera, il terremoto e l’alluvione, insomma la calamità ci invita poi a guardare all’essenziale, a ricondurre nell’angolo tanti nostri affanni della quotidiana “normalità“. E ci invita pure alla solidarietà.

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