La lunga marcia fino al 2022 cambierà la Lega? La tattica della spallata non paga più

La prima è aprirsi un sentiero «nei luoghi dove si deve passare per governare»; accreditarsi cioè presso l’establishment italiano ed europeo come forza sovranista sì, ma di governo, cioè non eversiva della collocazione internazionale del Paese e della sua economia. La seconda esigenza è «darsi una classe dirigente al Sud che non c’è», e che forse è anche il motivo per cui i voti che prende sotto il Garigliano non sembrano per ora sufficienti a comandare nel centrodestra (e già successo in Calabria, può succedere in primavera in Campania e Puglia).

Costruire qualcosa di nuovo

È dunque in corso un ripensamento. Qualcuno nel centrodestra deve lanciare un ponte verso il centro, e se non lo fa la Lega può arrivarci prima Meloni. Per questo stanno partendo telefonate e proposte di incontro a esponenti di vario calibro, del Nord e del Sud, di quella che può essere definita la galassia moderata. Lì c’è infatti ancora una porzione non irrilevante di consenso, ma anche di classe dirigente e di credibilità, in parte ancora attaccata a Forza Italia in parte già fuori, che non è affatto scontato si consegni a Salvini quando il partito di Berlusconi non ci sarà più (esito che sembra essere dato per scontato anche da suoi esponenti come la Carfagna). In quell’area inoltre c’è Renzi, considerato un concorrente, ma allo stesso tempo anche un alleato impossibile. Dunque, si tratta di costruire qualcosa di nuovo. La Lega non può fare in proprio una operazione di rifondazione, trasformarsi in un Pdl 2.0: c’è il blocco di un ceto politico nordista, carico di potere e successi, che non lo accetterebbe. I sovranisti non possono superare il sovranismo, almeno non finché non saranno al governo. Perciò è preferibile che la «cosa» nasca fuori, per poi portare in dote un capitale di credibilità.

Pd ringalluzzito

Naturalmente nessuno può mettere le braghe alla storia. Anche se la legislatura sembra destinata a durare almeno fino al 2022, non è detto che duri pure questo governo. Le incognite sono due: la sua debolezza parlamentare alle prese con le grandi scelte (vedi prescrizione) e il buco di centinaia di parlamentari senza più partito che si può aprire in caso di collasso delle Cinque Stelle. Che farebbe il centrodestra se la situazione precipitasse? Le ipotesi in discussione sono due. La prima è quella del governo istituzionale. C’è chi lo considera preferibile al governo attuale, non foss’altro per togliere alla sinistra le leve del potere. Se ne era fatto portavoce Giorgetti, ma la vittoria emiliana ha così ringalluzzito il Pd (anche nei sondaggi), da fargli ritenere che è meglio andare avanti così, drenando consensi dall’alleato di governo.

La tentazione della «modalità citofono»

La seconda ipotesi è la conquista di una fetta della diaspora pentastellata per dar vita a un governo di centrodestra+responsabili. È la strada suggerita da Berlusconi, che del resto l’ha già praticata in passato. Ma è respinta senza appello da Salvini e ancor più da Meloni, sicuri di poter arrivare al governo con le elezioni. Come manovra politica è perciò impraticabile, ma come evento è sempre possibile: una crisi del Conte II e l’esplosione dei Cinquestelle potrebbero davvero risolversi in un nuovo governo più spostato a destra. Del resto questa legislatura ce ne ha già fatte vedere di cotte e di crude. La domanda è se Salvini vorrà e saprà condurre una operazione politica di accreditamento o preferirà continuare una lunga campagna elettorale (ciò che sa fare meglio) per altri due anni. La tentazione di restare in «modalità citofono» è forte: d’altra parte i sondaggi lo danno sempre lì, in testa su tutti, anche dopo la Disfatta del Pilastro e la Rotta di Bibbiano.

CORRIERE.IT

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