Le domande delle sardine (che non hanno risposte)

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di   Paolo Franchi

Si dice con ironia che quello delle sardine è il primo movimento al mondo nato per contestare non il governo, ma l’opposizione. Vero. Ma è anche vero che, se alcuni (non tantissimi) anni fa ci avessero detto che un giorno un movimento di sardine si sarebbe levato a Bologna per svegliare una sinistra incline in cuor suo a dare per scontata la caduta dell’«Emilia rossa», e di lì a rapidi passi si sarebbe esteso in tutta Italia, fino a riempire piazza San Giovanni, ci saremmo messi a ridere. Nonostante già allora scudi crociati, falci e martello, garofani fossero già stati sostituiti dai più vari simboli desunti dalla flora e dalla fauna, avessimo già visto crescere, declinare ed estinguersi rapidamente pantere, girotondi, popoli viola, e fossero in avanzata gestazione i Cinque Stelle. Ma in politica, come nella vita, niente è così impensabile, specie in tempi di crisi prolungata, da non poter avvenire. Dunque, inutile arricciare il naso. Meglio, molto meglio, cercare di capire.

Che, piaccia o non piaccia, le sardine ci siano, e siano tante, ormai è, o dovrebbe essere, un dato accertato. Che, per quanti consensi talvolta pelosi ricevano, il loro movimento non sia né un’invenzione né una filiazione di una sinistra incapace peraltro di inventare e di filiare, anche. Che si sia rapidissimamente gonfiato, fino a occupare un posto importante su una scena politica per il resto desolata e desolante, pure. Le domande sulle sardine ormai sono diventate altre. La prima è: quanto potranno durare, se non cederanno alla tentazione di trasformarsi in un partito, senza condannarsi alla fine di tutti o quasi i movimenti del nostro recente passato, deperiti, e poi scomparsi dalla scena, con la stessa velocità con la quale avevano preso corpo? Domande legittima.

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