Aids, l’allarme dell’Oms: diagnosi tardiva per una donna europea su due

Anche se il termine Hiv viene spesso associato a parole come malattia e paura, la disinformazione è ancora alta tra i giovani Millennials e quelli della Generazione Z nati tra la fine degli anni ’90 e i 2000. Una delle false credenze più dure da abbattere è il fatto di non accettare che il virus dell’Hiv possa contagiare tutti quanti, indipendentemente dallo stile vita: solo il 68% del campione è consapevole di ciò. Mentre quasi 1 su 3 associa il rischio di contrarre la malattia a determinati comportamenti: rapporti con molti partner, tossicodipendenza e omosessualità.

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Lo stigma fatica a sparire

Pregiudizi tipici degli anni ’80 che ancora fanno fatica a sparire, come anche lo stigma con cui vengono bollate le persone sieropositive: solamente per il 54% non è pericoloso vivere a fianco di un malato di Aids. Il 46%, al contrario, crede che basti condividere con lui gli stessi spazi e interessi per esporsi al contagio: per il 14% usando le stesse posate e bicchieri, per il 9% usando lo stesso asciugamano, per il 6% è sufficiente uno starnuto o un colpo di tosse del malato, per il 3% facendo sport assieme. Un ulteriore 14% addirittura ritiene che qualsiasi tipo di contatto con una persona affetta da Hiv possa veicolare il virus.


I più grandi ne sanno di più

Più si cresce, maggiore è la preparazione dei ragazzi. I giovani adulti (19-25) sono i più informati e consapevoli. Gli adolescenti (14-18) sono divisi tra chi è ben preparato e chi stenta un po’. I preadolescenti (11-13) sono i più a digiuno. Purtroppo, nella classifica delle fonti da cui hanno ricevuto più informazioni i nostri giovani, ai vertici ci sono quelle meno scientifiche: internet e scuola (che compaiono nelle preferenze del 39% del campione), seguite dalla Tv (26%). Relegati all’11% medici e specialisti. Solo la metà del campione ha parlato di Hiv e Aids in classe e circa 6 ragazzi su 10 hanno appreso dettagli che prima ignoravano. Il 46% (con il consueto picco nella fascia 19-25 anni) sa che l’Hiv è il virus che provoca la malattia.


Confusione sulle modalità di trasmissione

In media solo il 28% elenca tutte le possibilità (sangue, sperma e secrezioni vaginali, passaggio madre-figlio). Molto alta, invece, la conoscenza del legame tra abitudini sessuali e rischi di contrarre la malattia: il 60% afferma, a ragione, che usando il preservativo difficilmente si corrono pericoli; appena l’11% indica falsi miti (rischia solo chi ha rapporti omosessuali od occasionali, chi non è attento all’igiene personale, chi va al letto con persone sconosciute). Il 51%, inoltre, sa che si può contrarre l’Hiv anche praticando sesso orale, se non ci si protegge a sufficienza. Il 73% che basti un solo rapporto per contagiarsi.


Quanto ne sanno sul test

Solo 1 su 2 sa che il virus dell’Hiv si può diagnosticare solo attraverso un test specifico; il 32% pensa che sia rintracciabile dalle analisi di routine; il 18% che basti un’attenta visita medica. Stesse proporzioni se si chiede ai ragazzi quando è consigliabile effettuare il test: per il 50% va fatto ogni volta che si ha un rapporto a rischio, ma il 44% lo limiterebbe solo quando si hanno rapporti con persone di cui non si conoscono le abitudini sessuali. In pochissimi (23%) sanno che il test è gratuito presso le strutture pubbliche; il 15% crede che sia sempre gratuito, l’11% che sia sempre a pagamento (e assai costoso).


Un Podcast per ‘alzare la voce’ tutto l’anno

Insomma, non c’è dubbio che i ragazzi di oggi ne sappiano poco e di conseguenza hanno una soglia di attenzione nei confronti di questa malattia che comunque ancora fa vittime molto più bassa. Proprio con l’obiettivo di tornare a ‘fare rumore’ su questi temi le Associazioni Nadir, Nps e Plus, con il supporto non condizionato di Msd Italia e la supervisione scientifica della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), hanno ideato un Podcast in 3 puntate dal titolo “Hiv ai tempi del silenzio”. Non è un documentario, non è una ‘lezione’, ma un racconto fatto direttamente dai protagonisti guidati dalla voce straordinaria di Pino Insegno.  “Le persone più giovani che appartengono alle cosiddette popolazioni chiave, quelle dove la possibilità di infettarsi è più elevata, non hanno visto direttamente la morte e la sofferenza che la malattia è in grado di causare”, spiega Massimo Galli, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università di Milano e Past President della Simit. “E spesso il ‘tanto caso mai c’è la cura’ può diventare fuorviante, portandole a usare minor attenzione nei rapporti. È invece importante tornare a parlare di Hiv in tutta la sua attualità di infezione ancora in grado di essere trasmessa, in Italia, ad almeno sette persone ogni giorno”.


Storie d’amore e di persone che invecchiano

Le puntate del podcast si possono ascoltare o scaricare sul sito www.hivaitempidelsilenzio.it. Nella prima puntata, insieme a Massimo Galli, Miki Formisano, vicepresidente di NPS Italia onlus e la sua compagna Marilena, danno vita ad una puntata dedicata al tema dell’amore. Nella seconda puntata, Filippo von Schloesser, presidente dell’Associazione Nadir onlus parla di una qualità di vita senza età testimoniando che oggi ci sono sieropositivi, dai capelli bianchi, che grazie alle terapie hanno cronicizzato la malattia. La terza puntata ci trasporta negli anni 2000 quando di Aids non si muore più e se si segue una terapia efficace non si è più contagiosi. Sandro Mattioli, presidente di PLUS Persone LGBT sieropositive onlus e Giulio Maria Corbelli, vicepresidente di PLUS, raccontano di come è cambiata la percezione del virus in questi anni tra i maschi che fanno sesso con maschi.

Il Rapporto MSF “Non c’è tempo da perdere”

Centinaia di migliaia di persone al mondo continuano a morire di infezione da Hiv a uno stadio clinico avanzato perché molti paesi sono ancora impreparati a diagnosticare e curare le persone che soffrono delle conseguenze di questa malattia. Il nuovo rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF), “Non c’è tempo da perdere” affronta la situazione in 15 paesi in Africa e Asia, analizzando le politiche sanitarie e i finanziamenti stanziati per combattere l’HIV avanzato che nel 2018 ha ucciso 770.000 persone, di cui 100.000 bambini, in tutto il mondo. MSF ha riscontrato che i test rapidi non sono quasi mai reperibili a livello comunitario, nonostante la diagnosi precoce possa salvare molte vite. Più dei due terzi dei pazienti con HIV avanzato curati nell’ospedale di Nsaje in Malawi, supportato da MSF, sono arrivati già gravemente malati e avevano precedentemente iniziato la terapia antiretrovirale interrompendola. Nell’ospedale di MSF a Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo, questo dato raggiunge il 71%. Di questi pazienti più di uno su quattro morirà perché la malattia era a uno stadio troppo avanzato al momento del loro arrivo in ospedale. Tutte queste morti si potevano evitare. Da quando MSF ha reso disponibili i test rapidi nei centri di salute del distretto di Nsanje, il numero dei morti in ospedale è diminuito, passando dal 27% al 15%.



Le iniziative del ministero della Salute

Per la Giornata mondiale della lotta contro l’Aids di domenica 1° dicembre, il Ministro della Salute Roberto Speranza accenderà alle ore 17.30 le luci dell’illuminazione straordinaria prevista per il Colosseo. Il Ministero della Salute ha programmato per l’occasione una campagna di comunicazione per sensibilizzare i cittadini. Le iniziative previste comprendono una collaborazione con la nota trasmissione X Factor di Sky, messaggi social sui profili del Ministero e di comunicazione attraverso il sito istituzionale www.salute.gov.it, che per tre giorni si tingerà simbolicamente di rosso.

REP.IT

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