Voglia di sinistra

Sia come sia le sue sono parole in sintonia con questa tre giorni organizzata da Gianni Cuperlo, densa, raffinata negli interventi, scevra di effetti speciali, partecipate (solo oggi oltre 4 mila presenze). Che segna un classico “cambio di paradigma”. Se non del Pd nel suo insieme, almeno di una sua parte. L’effetto è di un “nuovo Pd” più spostato a sinistra, che trasuda bisogno di un’identità forte in un’epoca di passioni radicali.

Diciamo le cose come stanno: è l’archiviazione definitiva del renzismo, inteso non solo come cultura del capo, ma come impianto politico-culturale fondato su una visione ottimistica della modernità, sulla rottura a sinistra in nome della conquista dei moderati, sulla retorica delle opportunità del mercato. E forse non solo del renzismo, ma di alcuni capisaldi su cui il Pd è nato, la famosa vocazione maggioritaria. E non è un caso che la sala è piena di ex ds, ma tutto l’altro pezzo del Pd, margheritino, ex renziano, chiamatelo come volete, è assente.

Per dirla in inglese: questo Pd è più Corbyn che Blair. Riscopre la “critica”, senza complessi di inferiorità e senza ansia di legittimazione nel salotto buono del capitalismo italiano. Lo fa anche con una certa enfasi, quasi liberatoria, citando Marx e Gramsci, e in questa enfasi si coglie quasi un tentativo di esorcizzare il realismo di questi mesi, il tatticismo, l’ossessione della responsabilità che ha portato alla nascita di un governo vissuto ora come trappola.

Ecco, c’è quasi una catarsi da autocoscienza nell’applauso a Maurizio Landini che trasforma il suo intervento nella critica di un trentennio di politiche neoliberiste: “La sinistra, nelle varie forme in cui si è espressa in Italia e in Europa, ha esaurito la sua spinta propulsiva. Ed è stata tutta corresponsabile della nascita del populismo. Con la caduta del Muro non si è estesa la democrazia, perché i soldi girano, le persone no. Quanti muri sono stati costruiti dove non c’erano?”.

Lavoro, disuguaglianze, ragioni degli ultimi, solitudine, dominio della finanza: torna una visione critica della modernità, come non si sentiva da tempo – la cultura della crisi – e un’idea di sinistra come liberazione degli ultimi: “Non è vero – dice il sociologo Mauro Magatti – che basta fare la torta, come dice il partito del Pil. Perché conta chi la fa, conta la dimensione, contano gli ingredienti. E il criterio dell’avanzare è dato dal passo del più fragile che non va lasciato solo. Libertà non è solo spezzare le proprie catene, ma vivere garantendo la libertà agli altri”.

Maglioncino rosso, solita verve, Landini conquista la sala su un discorso che rappresenta, nei contenuti, una poderosa “rottamazione” di quel che il Pd ha fatto negli ultimi anni: “Quando l’autore del jobs act disse che quel provvedimento era la cosa più di sinistra che è stata fatta, mi sono detto: ‘forse non sono di sinistra’. Adesso, 50 anni dopo lo Statuto dei lavoratori, occorre un nuovo Statuto, in cui i diritti devono essere legati non al tipo di lavoro che fai, ma devono essere a prescindere dal lavoro”.

Dicevamo, un “nuovo Pd”, che però sempre nel “vecchio contesto” opera. Perché poi il punto è sempre lo stesso: il Governo, vero convitato di pietra di questa riflessione e di una autocoscienza che non incrocia la realtà. Per cui bisogna aspettare le sette di sera per sentire la parola “Ilva” e l’intervento della Furlan per ascoltare un appello ad abrogare i decreti sicurezza, in mezzo a tante alate discussioni su una società più accogliente e inclusiva. Domani le conclusioni affidate a Zingaretti, dopo la serata con 2 mila persone accorse per la cena con il candidato in Emilia Bonaccini. Tocca al segretario, come si diceva una volta, “fare sintesi”, trasformando la nuova coscienza in linea politica concreta nella situazione concreta.

L’HUFFPOST

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