Lilli Gruber sfida il maschilismo. «Care ragazze, mettete la giacca»

Fine della ricreazione, scrive l’autrice di Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone per le edizioni Solferino, la vita professionale non può essere un gioco di seduzione. Sono facezie, galanterie, niente di grave? Probabilmente sì, ragiona Gruber, ma si parte da queste forme e regole squilibrate dall’alto maschile verso il basso femminile e si finisce «dietro il divano o sotto la scrivania». Invisibili, impotenti, sacrificate, mentre «una ciurma di maschi sbracati imperversa nelle stanze dei bottoni da troppo tempo, in tutto il mondo». Perché — alla fine del giorno e all’inizio del terzo millennio — quello che le esperienze personali come le classifiche universali sui divari di genere dimostrano è che «non abbiamo affatto raggiunto l’uguaglianza, non ci siamo nemmeno vicine».

E allora, quando mancano cinque minuti alla mezzanotte (come si dice in tedesco per dare l’idea che tra poco sarà tardi), una delle giornaliste più influenti nella storia d’Italia, rispettata e temuta allo stesso modo, decide di dare alle stampe un pamphlet che in ciascuno dei nove capitoli di cui è composto vibra di furia e sfida, un diario pubblico-privato che si rivela impietoso su un fronte e incoraggiante sull’altro, in una corsa continua tra fatti ed eventi, little e big data, dichiarazioni roboanti di leader internazionali e osservazioni sottili raccolte nelle conversazioni serali con il marito Jacques Charmelot, al quale — nei ringraziamenti finali — viene riservato «un applauso» di cuore e di testa.

La radice di questo libretto rosso è pratica, racchiusa in una domanda essenziale: che cosa fare adesso, subito, si potrebbe dire «prima di cena», spostando sulla rivoluzione femminista la formula dell’urgenza quotidiana che Jonathan Safran Foer ha coniato nel suo ultimo saggio ecologista. Che cosa possono/devono fare le donne — e gli uomini — che desiderano una società più equa per rovesciare lo stato delle cose? Cosa per crepare e poi spaccare il granito della resistenza al cambiamento che negli ultimi anni sembra essersi persino rafforzata (dal 2013, secondo l’autrice, sull’onda populista è partito «un contrattacco duro e immediato» volto a sabotare l’avanzata delle donne nelle istituzioni)?

Le risposte che Gruber vede e racconta sono due. La prima sta nel titolo. Bisogna dire basta e dirlo con un punto esclamativo che faccia da paletto a ogni esitazione. Basta a quel tridente di «visibilità, violenza, volgarità» al maschile che prova a (re)spingere le donne dentro il recinto di un presunto destino genetico di sottomissione, destino inesistente, arbitrario e controproducente per tutte e tutti, al quale una catena di proverbi e stereotipi ha regalato un comodo vestito culturale, ormai logoro, fuori moda e tuttavia ancora buono per ogni stagione. E a proposito di stagioni politico-economiche, la globalizzazione e il liberismo — argomenta Lilli Gruber — non hanno fatto che peggiorare la situazione poiché «le donne oggi appartengono in maggioranza a quello che un tempo si chiamava proletariato».

Basta, dunque, a un club antistorico di uomini di potere che vengono raccontati ciascuno nel proprio antro al testosterone. Trump, Bannon, Erdogan, Xi Jinping, Putin, Bolsonaro, Johnson, Epstein, Weinstein, Salvini (al Matteo leghista è dedicata l’introduzione a tutto il resto e a tutti gli altri).

La seconda risposta è quella che nel libro sembra prendere il sopravvento sulla prima. È tempo di serrare le fila al femminile, perché quando si stringono i nodi degli interessi personali «nessun uomo sa essere femminista quanto una donna, nemmeno Jacques». Qui la lista delle personalità citate è molto più lunga. In ordine decisamente sparso e comunque incompleto: Greta Thunberg, Olga Minsk, Shonda Rhimes, Paola Cortellesi, Luciana Littizzetto, Michela Murgia, Ilhan Omar, Canan Kaftancioglu, Sara Gama, Megan Rapinoe, Michelle Williams, Kristalina Georgieva, Sofia Goggia, Michela Moioli, Serena Williams, Elizabeth Warren, Stefania Bariatti, Angela Merkel, Christine Lagarde, Nancy Pelosi, Kamala Harris, Alexandria Ocasio-Cortez, Ursula von der Leyen, Kirsten Gillibrand, Marianne Williamson, Milena Bertolini… L’altra metà del campo — più che di un cielo immobile — viene invitata dall’autrice ad alzare la voce, a farsi avanti, a rischiare in proprio. Così finalmente far carriera sarà meno facile «da sdraiate», per le ragazze ambiziose e scorrette, e più facile a schiena drittissima, per quelle ambiziose e serie che potranno denunciare ogni abuso contando sulla protezione reciproca.

È a questa seconda categoria di fiduciose che sono rivolte le pagine forse più belle del pamphletto, così definito da Jacques il femminista in una fusione franco-italiana: le pagine dei sette consigli offerti con umorismo e tenerezza a quante cercano una visibilità che faccia rima con responsabilità e credibilità. In sintesi: compratevi una giacca (i primi risparmi di Lilli Gruber sono stati investiti in un tailleur Armani); non mescolate il piano professionale con amicizia e sesso; non abbiate paura del potere, anzi, imparate a gestirlo; esercitatevi a dire no agli uomini; uscite molto, in gruppo e divertendovi, occupate le strade, le piazze, le osterie, a volte un gin&tonic condiviso farà la differenza; misurate il campo di gioco e poi attraversatelo per prendervi ciò che vi spetta; e studiate, sempre, tutto, un sacco. Anche perché «il buono di questi tempi lassisti è che troverete uomini impreparati, autocompiaciuti, rilassati».

Non basterà dire «basta!»: quello è solo l’inizio dell’opera di Lilli Gruber e della marcia delle ragazze giustamente ambiziose che l’autrice sprona a reclamare la sciabola come le rose. Non resta che sciogliere un dubbio: è questo un libro contro gli uomini? No, è un libro contro il maschilismo. Che, si sa, non è il gemello azzurro del femminismo.

Gli incontri

Lilli Gruber presenta il suo libro «Basta!» a Milano il 17 novembre (ore 20) al Mudec con Beppe Severgnini nell’ambito di BookCity. A Modena sabato 23 novembre Lilli Gruber presenterà il suo libro all’auditorium Marco Biagi (ore 17.30) nel quadro di un ciclo sulla violenza contro le donne.

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