I Curdi e l’ingratitudine di tutti noi

Gli ultimi della terra muoiono senza lacrime versate per loro, e senza telecamere a documentarne la fine. Negati i loro diritti a essere protagonisti della comunità degli uomini fino alla fine. L’annullamento di questa identità è l’ennesima forma che prende il massacro nei tempi moderni – annegare non (solo) nel sangue le minoranze, ma negarne tutto fino alle radici, il suolo dove si è nati, le case, le abitudini, la lingua, la religione, per cancellare ogni pietra, fino alla negazione della memoria, l’ultimo pugno di sale romano. Perciò i loro eroi, specialmente se questi eroi sono donne, devono essere assassinate ai bordi di una strada. Perciò i giornalisti che sono testimoni della loro storia devono essere eliminati. Il passato deve morire, perché al suo posto venga portato un altro popolo, esso stesso scelto fra gli ultimi della terra, gente ancora più sradicata, che varca gli spazi degli inquilini precedenti, stordita, provvisoria, depositata dove capita dalle onde finali di un’altra drammatica storia.

È quello che succede in queste ore nel Nord della Siria, sulla pelle dei Curdi. E non fatevi distrarre dal rumore delle bombe, il rombo dei cingolati, il variare di interessi geopolitici e alleanze, alla fine – al cuore degli eventi, c’è solo lo scambio osceno fra due miserie, due sopravvivenze: il baratto fra 3 milioni di rifugiati siriani, e qualche centinaia di migliaia di curdi. I primi arma di ricatto, i secondi granelli di sabbia nell’ingranaggio più grande del potere globale, entrambi sacrificabili a uno schioccar di dita, o l’arrivo di un tweet.

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