Giorgia Meloni e Matteo Salvini, la gara triste degli analfabeti costituzionali

Michele Ainis

Legge e Libertà

Giorgia Meloni e Matteo Salvini, la gara triste degli analfabeti costituzionali

Una patente d’analfabetismo istituzionale. È questo il lascito della crisi di governo, il guadagno che hanno intascato i suoi protagonisti. Lo sospettavamo, adesso ne abbiamo la certezza. Scarsa confidenza con le regole parlamentari, ignoranza pressoché totale della Costituzione, nel senso che molti politici italiani ne ignorano perfino l’esistenza, povera donna. O altrimenti la leggono al contrario, con una lente deformante.

Ne ha offerto prova il primo giro di consultazioni al Quirinale, tra il 21 e il 22 d’agosto. Quando Giorgia Meloni – per fare un solo esempio – ha chiesto lo scioglimento immediato delle Camere appellandosi all’articolo 1 della Costituzione, norma che precede tutte le altre norme costituzionali. Giusto in matematica, sbagliato in diritto. Perché il principio della sovranità popolare non significa chiamare gli italiani al voto ogni volta che un sondaggio lascia presagire mutamenti nel consenso dei partiti: staremmo freschi, dovremmo votare ogni domenica. Perché il capo dello Stato non può interrompere la legislatura se il Parlamento è in grado d’esprimere una maggioranza di governo, quantunque diversa dalla maggioranza preesistente. E perché l’articolo 1 della Costituzione va letto tutto intero: la sovranità appartiene al popolo, che tuttavia la esercita «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Ecco, i limiti. Fra i quali c’è anche il tempo: di regola si vota ogni 5 anni, non ogni 5 minuti.

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