Dal “pirla” fino a Belsito e Savoini: tutti i faccendieri della Lega

di Vittorio Malagut

Dal pirla fino a Belsito e Savoini: tutti i faccendieri della Lega

In principio fu il pirla. Nel senso di Alessandro Patelli, tesoriere della Lega ai tempi di Umberto Bossi, quando il movimento padano, rigorosamente indipendentista, pascolava ai margini del potere. Si diede del pirla da solo, Patelli, appena venne arrestato nel dicembre del 1993 per un finanziamento illecito di 200 milioni di lire al partito destinato di lì a poco ad andare al governo insieme alla neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi. Erano i soldi di Enimont, la madre di tutte le tangenti. Quel processo, forse il più importante della stagione di Mani Pulite, si concluse con una condanna a otto mesi per il senatur e per Patelli.

Si capì fin da subito, quindi, che Lega cresciuta cavalcando lo slogan “Roma ladrona” era stata ben presto infettata dallo stesso virus della tanto detestata, a parole, partitocrazia. In quegli anni i padani entrano e escono dal governo, colonizzano ministeri, enti locali e società pubbliche, ma continuano a rivendicare la loro estraneità al malaffare dello Stato centralista. Si montano anche un po’ la testa, i fedeli di Bossi, e arrivano a fondare una banca tutta loro con l’obiettivo dichiarato di sottrarre i soldi del Nord alle grinfie del sistema.

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