Un enigma chiamato Salvini

La spieghi così, ma forse non solo così. Perché prima o poi arriverà il momento in cui questo consenso andrà monetizzato: perché, si chiedono i suoi, non coglie l’attimo, visti i sondaggi? E chissà se nella forza alimentata dal mistero non ci sia anche una grande insicurezza e, forse, qualche paura. Perché il mistero è denso. In parecchi, senza farsi vedere, sono andati dal parlamentare del Pd Emanuele Fiano che, ospite di Agorà, ha pronunciato una frase che ha colpito i leghisti: “Siccome razionalità dice che, numeri alla mano, dovrebbe andare a votare e non lo fa, evidentemente non è un uomo libero”.

Già. È chiaro che lo spin leghista accredita la versione secondo cui l’uomo che non deve chiedere mai non sarà in Aula sul Russiagate perché ha altro da fare, più che occuparsi di un caso che non esiste. Ma resta la fuga, dall’Aula e dal caso su cui indaga la procura di Milano, liquidato con battutacce da bar di provincia. E restano le tante domande senza risposta, su Savoini, sul suo ruolo, sui rapporti con Salvini, su tutte le ombre che avvolgono i rapporti della Lega con Putin, maldestramente coperte con la drammatizzazione sul futuro del governo, per eludere la questione di fondo. Ed è chiaro che lo spin leghista accredita che il caso Arata non esiste, anche dopo il diluvio di intercettazioni che rivelano le sue pressioni per mettere al governo Siri, e anche in questo caso restano senza risposte le domande sui rapporti con Arata, che per la Lega si occupa di eolico e il cui figlio avrebbe dovuto lavorare a palazzo Chigi al fianco di Giorgetti. Insegnano le vecchie volpi di Palazzo che, in situazioni come queste, la libertà di lasciare il Viminale quando la magistratura è così attiva è sempre un rischio, perché è chiaro che queste inchieste sono solo all’inizio ed è difficile prevedere dove vadano a finire. Comunque il Potere è uno scudo.

Raccontano che c’è un momento in cui la sicumera del leader leghista è stata soppiantata dai dubbi su un’eventuale accelerazione verso la crisi. Ed è stato quando il sottosegretario leghista è sceso dal Quirinale sabato, dopo il colloquio col capo dello Stato: “La crisi – sussurra una fonte leghista – è sempre un’incognita. Un conto è se si dimette Conte. Ma se la chiediamo noi, ci sta che il capo dello Stato la parlamentarizzi. E qui la questione si complica, perché la devi spiegare agli italiani mentre gli altri si dicono disponibili ad andare avanti”. Ecco, nell’enigma di Salvini c’è anche l’enigma altrui. E non è sfuggito al capo della Lega che sia iniziata, sui cosiddetti giornali dell’establishment, una sorta di “montizzazione di Conte”: il premier responsabile, che si è ritagliato un ruolo da protagonista nel post-europee, che offre la prospettiva di tenuta della legislatura, attorno a cui si intensificano le voci di un “suo” partito (non smentite), terminale di un’offerta da parte di Franceschini di un nuovo “arco costituzionale” per eleggere il successore di Mattarella: “Come nel basket – dice il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi – se fai velo, rischi che gli altri facciano canestro”. E se non c’è una trama c’è almeno una suggestione se è vero che Piero Fassino ha ricevuto parecchie telefonate da parlamentari dei Cinque Stelle per manifestare il proprio interesse e sondare che aria tira nel Pd dopo l’uscita dell’ex segretario. I fautori della crisi subito, da Giorgetti andando giù per li rami pensano che proprio tutti questi elementi suggeriscono di evitare la cottura a fuoco lento. E di accelerare subito. Però Salvini ha fatto capire che per ora si va avanti. E c’è un’altra domanda che resta senza risposta, in un partito che non può permettersi di parlare a chi lo ha portato al 35 per cento, ma comincia a non capire il suo leader: “Ma Salvini è un uomo libero di scegliere o ha paura di qualcosa?”

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