Così Di Pietro “cannibalizzò” Borrelli e ora lo scorda

Vittorio Sgarbi

«Mani pulite alla fine fu un disastro, non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cadere in quello attuale». È la sintesi delle mie note di ieri, critiche in un coro di consensi dopo la morte di Borrelli.

Un altro in controtendenza: Paolo Colonnello, Mattia Feltri, Filippo Facci? No. La frase lapidaria e riassuntiva è di Francesco Saverio Borrelli. Vane dunque le funeree litanie encomiastiche dei Travaglio, dei Michele Serra, dei Bruti Liberati. Mani pulite è stato un inutile fallimento e una sconfitta. Un disastro. Troppo tardi Borrelli capì l’errore. Il suo temperamento femminile aveva ceduto all’irruenza di un turgido sostituto. Ha scritto bene Mario Ajello, che quegli anni vide: «Borrelli, nelle interviste che quotidianamente rilasciava, citava sempre la consonanza sua e del suo ufficio con la società civile e con l’opinione pubblica. Un antipasto di quello che poi si sarebbe chiamato il populismo giudiziario?… Poi arriva la stagione della scorciatoia che Borrelli si trova a gestire grazie alla irruenza dipietresca. A poco a poco, capisce che il clima è cambiato e presta la sua mente politica al servizio dell’inchiesta e ne diventa lo stratega».

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