Salvini: non siamo alla fine del governo. Dimissioni? Serve un rinvio a giudizio

La voce è ormai sul punto di lasciarlo, la maratona di comizi prima in Emilia-Romagna e poi in Toscana l’ha messa a durissima prova. Eppure, anche se il meteo del governo non annuncia il bello e ancora non si capisce come si uscirà dal caso Siri — il sottosegretario leghista indagato per il quale il premier Conte ha chiesto le dimissioni — il ministro dell’Interno si gode le piazze traboccanti di folla e le incita alla «liberazione»: «Anche la Toscana si libera delle bandiere rosse e torna alla libertà». Certo, i 5 Stelle per tutto il giorno non rinunciano a tentare di snidarlo. Per esempio, con Luigi Di Maio: «Su quasi ogni giornale, c’è scritto che la Lega vuole staccare la spina al governo. E tutto questo per cosa? Per una poltrona? Per non mollare un loro indagato per corruzione?». Salvini, finalmente, risponde: «Ma quando mai il problema è stato quello di una poltrona? Per me è evidente: condannare, dimissionare, linciare una persona sulla base di chiacchierate telefoniche di altre persone, io temo sia pericoloso per la democrazia. La scardina, e scardina i principi costituzionali di garanzia».

«Buttiamo via tutto il governo?»

La voce torna a scaldarsi: «Ma scusi, e se due parlassero al telefono di Di Maio, di Toninelli o di Di Battista? Che facciamo? Buttiamo via tutto il governo?». Salvini sbuffa: «Che ci sia quanto meno un rinvio a giudizio, santo cielo… Non si dice una condanna in terzo grado, ma nemmeno può bastare l’apertura di un’indagine basata su una telefonata tra due persone che parlano di una terza…». Del resto, che i piani di Salvini non prevedessero una crisi di governo a giorni, si poteva intuire dal continuo rilanciare su nuovi provvedimenti che ha costellato la raffica di comizi degli ultimi giorni: «Noi andiamo avanti. Anzi, se vuole sapere che cosa succederà mercoledì in Consiglio dei ministri le dico che conto di portare alla seduta un testo unico sull’immigrazione». Poi, si toglie il gusto di prendersela con l’opposizione: «Quelli del Pd che chiedono le mie dimissioni perché incontro le persone, per i comizi, mi fanno ridere. Non credo che dal Viminale ci sia mai stata una mole di provvedimenti come quella che stiamo portando noi. È la prova che il punto non è stare 16 ore al giorno a dormire al ministero, ma organizzarsi e avere una grande squadra».

Terapia farmacologica per gli strupatori

Già che c’è, il ministro dell’Interno ritorna su un antico cavallo di battaglia leghista da lui rilanciato con tutta la forza di chi sente di avere la gente dalla propria: la castrazione chimica. Secondo un sondaggio commissionato dalla Lega a Swg, il 58% degli italiani sarebbe favorevole alla terapia farmacologica su stupratori e pedofili: «Con una pillola, non con le forbici. E hai finito di mettere le mani addosso a donne e bambini». Il che, soprattutto, sembra anche assai utile nei confronti dei 5 Stelle, che da qualche tempo avanzano critiche sui risultati del Viminale a guida Salvini e sono più che scettici sulla pillola blocca pulsioni: secondo il sondaggio, la bellezza del 67% degli elettori M5S sarebbe favorevole, due su tre, ben più della media nazionale. Va detto che Salvini del premier Giuseppe Conte continua a parlare pochissimo. Il capo del governo ieri ha tentato di placare le polemiche garantendo che «non ci sarà alcuna conta in Consiglio dei ministri». Un riferimento al fatto che Di Maio invece aveva ricordato la predominanza numerica dei ministri stellati su quelli leghisti. Salvini, a chi gli chiede se si fidi del premier Conte risponde: «Certo…». In modo forse un tantino sbrigativo.

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