Brexit, i Comuni votano legge che impedisce il “no deal”
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Approfondimento
La svolta soft di May: intesa con Corbyn per il divorzio dalla Ue
dal nostro corrispondente ANTONELLO GUERRERA
Lo stop al No Deal duro colpo per i brexiter
A quel punto, si tratterebbe di un durissimo colpo ai brexiter che avrà
pesanti conseguenze sul fronte euroscettico. Non solo. Qualora non ci
fosse un accordo prima del Consiglio europeo straordinario del 10
aprile, May sarà dunque costretta a chiedere all’Ue un altro rinvio
della Brexit che in quel caso però sarà accettato dall’Europa solo in
cambio di un’estensione lunga (almeno 9 mesi, come ha fatto intendere il
presidente della Commissione Ue Juncker) che contempli per il Regno
Unito nuove elezioni generali o un secondo referendum sulla Brexit,
oltre alle sempre più probabili elezioni europee di maggio. Insomma, i
brexiter sono all’angolo e l’unica possibilità per il No Deal, a questo
punto, sarebbe se l’Ue rigettasse la richiesta di rinvio di Londra: uno
scenario alquanto irrealistico.
A colloquio con John Bercow: “Ecco perché dico sempre Ordeer! Vi racconto chi sono davvero”
Il No Deal sulla Brexit e i rischi per l’economia Gb
Proprio ieri il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney
aveva sottolineato che il rischio di un No Deal era ancora “molto
elevato” e che riuscire a controllarne le conseguenze, come sostengono i
brexiter, sarebbe impossibile. Qualche ora dopo lo scenario è cambiato
radicalmente. Ora acquistano ancora più importanza i frenetici negoziati
bipartisan della strana coppia May-Corbyn. La premier britannica e il
leader laburista ieri si sono incontrati per la prima volta per uscire
da questa gravissima crisi politica e sociale. Si rivedranno anche
stamattina, ma essendo due testardi non c’è da essere troppo ottimisti,
tanto che Corbyn ieri sera prima ha detto che i colloqui erano andati
“molto bene” poi li ha definiti “inconcludenti”. Filtra pochissimo dai
negoziati, ma le linee guida della potenziale intesa tra i due nemici
potrebbero essere: unione doganale (che risolverebbe anche l’annosa
questione del confine irlandese post Brexit) e allineamento al mercato
unico, come vuole Corbyn, e fine del libero movimento di cittadini e no a
un secondo referendum come vuole Theresa May. Il tutto da sottoporre
poi all’Ue, ovviamente.
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Sul secondo referendum in realtà c’è una bagarre nei laburisti, come
confermano fonti del partito: Corbyn e i suoi fedelissimi insistono sul
ricorso alla seconda consultazione solo in caso di un “brutto accordo”
(come quello May) o “No deal” (cioè la pericolosa uscita disordinata
dopo la data limite del 12 aprile). Ma c’è un fronte interno guidato dai
ministri ombra Keir Starmer e Emily Thornberry che invece chiedono,
anche in pubblico, un secondo referendum su qualsiasi piano, dunque
anche su un eventuale accordo tra May e Corbyn, cosa cui il leader
laburista si oppone decisamente. È una faida interna che va avanti da
tempo e che prima o poi, potrebbe deflagrare, come già visto tra i
conservatori.
In ogni caso, una sintonia Corbyn-May pare essere l’unica vera
opportunità per portare al prossimo delicatissimo Consiglio europeo del
10 aprile un piano concreto e alternativo e convincere i 27 membri Ue
che stavolta Londra può davvero farcela ad uscire in maniera ordinata,
anche perché sempre ieri il Parlamento britannico ha escluso nuovi voti
“indicativi” dell’aula inizialmente previsti per lunedì: ieri pomeriggio
l’emendamento del laburista Benn che li avrebbe permessi è finito in un
clamoroso pareggio (310 voti contro 310) ed è quindi stato affossato
dallo speaker (presidente) della Camera John Bercow, costretto a
esprimersi (non capitava dal 1993) visto l’ennesimo stallo e ha votato
contro il testo per non schierarsi “positivamente” su qualcosa, essendo
una figura assolutamente imparziale.
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Intanto, il partito conservatore continua a perdere pezzi. La premier ieri ha praticamente scaricato ogni responsabilità sui suoi ribelli euroscettici, facendo notare che per “tre volte hanno respinto il mio piano, e quindi ho capito che non sarebbe più passato”, giustificando così il suo appello al dialogo con Corbyn. Nelle ultime ore hanno sbattuto la porta due sottosegretari “junior” del governo, Chris Heaton-Harris del ministero della Brexit e Nigel Adams per il dicastero del Galles. L’emorragia sembrava contenuta. Ora però, dopo il voto in Parlamento di qualche ora fa, tra i “tories” già lacerati deflagrerà lo scontro. E il partito conservatore di May potrebbe ritrovarsi presto in macerie.
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