Flat Tax: quali categorie ci guadagnano davvero

Quando non conviene

Abbiamo preso il caso di tre contribuenti che tra poco si troveranno a fare la denuncia dei redditi, e con loro siamo andate dal commercialista (lo studio Frangi di Milano). Sofia è un architetto. L’anno scorso ha fatturato 14 mila euro e sostenuto spese per 2 mila euro (in gran parte mediche) che danno diritto a 380 euro di detrazioni. Per lei il regime forfettario tassato al 15% esisteva già, ma non lo ha mai utilizzato. E non lo sceglierà nemmeno quest’anno, perché la flat tax al 15% non consente di detrarre le spese. A conti fatti con il forfettario pagherebbe imposte per 1.441 euro contro i 979 del regime ordinario.

Massimo è un social media editor milanese. L’anno scorso ha emesso fatture per 25 mila euro lordi e ha 5 mila euro di spese che danno diritto a 950 euro di detrazioni. Anche lui se sceglie il regime forfettario perde la possibilità di scontare le detrazioni e dovrebbe sborsare 2.173 euro, mentre con il regime ordinario se la può cavare con 1.779 euro di tasse. Certo, se non avesse spese che consentono detrazioni, la flat tax sarebbe certamente vantaggiosa, anche perché riduce le pratiche con il commercialista.

Quando conviene

Per valutare la convenienza della flat tax bisogna anche considerare che chi sta nel regime ordinario può compensare l’Iva pagata sui costi sostenuti con quella incassata dalla sua attività. Con il regime forfettario, invece, si forfettizzano anche i costi, considerati pari al 22% del reddito. Morale: la nostra architetta dovrebbe rinunciare a dedurre 677 euro di Iva sui costi di attività e il social media editor a 1.210 euro. Considerando anche questo fattore il regime forfettario per loro è decisamente svantaggioso. Diventa conveniente, invece, quando i costi reali sono bassi (pari al 5-10% del reddito), perché da una parte l’Iva deducibile si abbassa, e dall’altra si abbatte il reddito imponibile, cosa non possibile con il regime ordinario. Tirando le somme: il regime forfettario premia le partite Iva che non hanno detrazioni da scontare e hanno invece costi sotto il 22% del fatturato. Cioè quelle che investono poco per lo sviluppo della loro attività. In generale, quelle che hanno redditi il più vicino possibile ai 65 mila euro. Questo perché più cresce il reddito, più aumenta l’aliquota Irpef progressiva nel regime ordinario, che poi è il parametro con cui bisogna fare il confronto per valutare la convenienza dei regimi (si va dal 23% fino a 15 mila euro, per arrivare al 41% fino a 75 mila, oltre i quali si viaggia al 43%). Inoltre a queste aliquote bisogna aggiungere in media un 3% tra addizionali regionali e comunali. Mentre con il regime forfettario le addizionali non si pagano. Quindi su 3,8 milioni di partite Iva, la normativa attuale abbassa le tasse e riduce la burocrazia a 1,3 milioni di contribuenti (ricordiamo che, di questi, 935 mila già ne usufruivano).

Tirando le somme

Queste sono le principali conseguenze:
1) La flat tax per gli autonomi crea tassazioni diverse per redditi uguali, a seconda del fatto che lo stesso reddito sia stato generato con alti costi o costi molto bassi.
2) Per restare sotto i 65 mila euro lordi incentiva la frammentazione, per esempio degli studi associati. In sostanza il nuovo sistema spinge a restare piccoli.
3) Non incentiva chi investe e ha costi alti perché conviene scaricare l’Iva sui costi, e con la flat tax non lo puoi fare.
4) Disincentiva le assunzioni, perché il lavoro dipendente è tassato di più.
5) Non riduce il nero. Anzi, rischia di aumentarlo. Alcuni studi mostrano che quando si abbassano le tasse aumentano i redditi dichiarati. Ma l’impatto è minimo. D’altra parte, però, molti cercheranno di restare a tutti costi sotto il tetto dei 65 mila euro.
6) Chi resta sotto i 65 mila euro non deve fare pagare l’Iva ai clienti e quindi può avere margini più alti o praticare prezzi più bassi strappando clienti alla concorrenza. Anche questo può essere un incentivo al nero.

Un regalo a dirigenti e pensionati

C’è una minoranza che da quest’anno avrà un vantaggio davvero ingiustificato. E veniamo al terzo caso: Antonio, dipendente di un’azienda informatica con qualifica da dirigente e stipendio di 75 mila euro, più 65 mila da partita Iva in quanto sindaco in alcune società. Fino allo scorso anno non potevi scegliere la flat tax sulla partita Iva se nello stesso tempo avevi redditi da lavoro dipendente o da pensione superiori a 30 mila euro. Oggi questo limite non c’è più. Visto che oltre i 75 mila euro di reddito si paga il 43% di Irpef più un 3% di addizionali, l’anno scorso Antonio sui 65 mila euro da lavoro autonomo aveva pagato il 46% di tasse. Quest’anno potrà limitarsi a versare il 15%. E non dovrà nemmeno rinunciare alle detrazioni, potendole scontare sul reddito da lavoro dipendente. Alla fine, calcolatrice alla mano, il nostro dirigente quest’anno risparmierà in tasse 13.567 euro.

Il consiglio dell’ordine dei commercialisti stima che in 105 mila abbiano un reddito sia da pensione/lavoro dipendente che da partita Iva. Questa sarà la categoria più premiata dalla flat tax, popolata anche da ex parlamentari che svolgono consulenze, ex dirigenti o dirigenti in attività. Nell’approvazione della legge di Bilancio si sono accorti di questa stortura, ma l’emendamento che la doveva correggere non è passato.

La ciliegina sulla torta

La denuncia dei redditi si riferisce notoriamente ai redditi dell’anno prima. Quindi se nel 2018 non hai fatturato più di 65 mila euro puoi scegliere la flat tax. A ottobre scorso quando si è capito che c’era nell’aria un allargamento della flat tax, chi ha potuto ha rimandato l’emissione delle fatture a gennaio 2019 per restare dentro alla soglia dei 65 mila. E nel 2019 può fatturare quello che vuole, perché diventando «contribuente flat tax» c’è la garanzia automatica che sarà applicata pure sui redditi del 2019. Anche se supereranno di gran lunga i 65 mila euro: 200-300 mila euro, non c’è limite. Solo l’anno dopo sarà automaticamente escluso dalla flat tax. Ma se ha l’accortezza di ripianificare il fatturato, poi per altri due anni potrà rientrare e cavarsela con il 15%. E così via a fisarmonica.

Per aiutare le partite Iva povere

Nel triennio la riduzione delle entrate fiscali dovuta all’allargamento della flat tax per le partite Iva sarà di 3,5 miliardi di euro. Dal 2020 anche le partite Iva con reddito tra 65 e 100 mila euro potranno contare su una tassa piatta del 20%. Prima di tutto sarebbe doveroso eliminare i «regali» ingiustificati appena elencati, e aiutare le partite Iva più fragili, per le quali invece non è cambiato nulla. Ridurre le disparità fra poveri sarebbe già un passo, per esempio alzare la soglia di zero tasse, che per gli autonomi oggi è di 4.800, a fronte degli 8.140 per i dipendenti. Sono 497 mila i lavoratori autonomi con fatturati lordi sotto i 15 mila euro. Con i contributi che versano sarà difficile incassare una pensione dignitosa, e sarà difficile oggi mettere su famiglia. Intanto il Paese invecchia.

CORRIERE.IT

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