All’ombra di Augusto senza vicepremier

. Per Salvini è un evidente segnale, tutto politico, di distanza da un accordo portato avanti per otto mesi, a nome del governo, dal “suo” sottosegretario allo Sviluppo Economico Michele Geraci, che oggi si è presentato al Colle con la spilletta del Carroccio sul bavero della giacca, per poi essere stato clamorosamente messo in discussione dopo il viaggio “americano” di Giorgetti. Dicevamo, un segnale all’amministrazione americana che da tempo considera quel vasto programma di investimenti infrastrutturali come un progetto egemonico, attraverso cui la Cina allarga la sua influenza non solo sull’economia e la finanza, ma in futuro anche sulla sfera politica e militare. E che, dietro la retorica della difesa del mondo libero, chiedono un posizionamento agli alleati tradizionali per costringere i cinesi a scendere a patti con gli interessi americani.

La foto finale è, al tempo stesso, la foto di una “toppa” messa dal capo dello Stato su un dossier che compete al governo, partito da lontano (sin dal governo Gentiloni) e proseguito con una spericolata accelerazione, con la visita orientale di Di Maio e una brusca frenata fuori tempo massimo, col risultato di mettere l’Italia, con le sue divisioni “geopolitiche” all’interno del governo, al centro delle critiche di molte cancellerie internazionali. Una toppa, perché parliamoci chiaro, proprio questa incertezza del governo ha prodotto una gran confusione, attorno a una iniziativa abilmente utilizzata da Pechino anche con finalità propagandistiche di sfoggio egemonico. Col capo della seconda superpotenza mondiale accolto, per le strade di Roma, da un corteo di corazzieri a cavallo, come accadde solo per Papa Benedetto XVI nel 2010 e per la regina Elisabetta nel 1961. Perché la Germania, tanto per intenderci, ha un rapporto economico con la Cina che vale 5 volte quello italiano, Francia e Inghilterra il 40 per cento in più, senza firmare memorandum.

È questo contesto che fa da sfondo al ruolo “rassicurante” del capo dello Stato che, in fondo, altro non poteva fare nell’ambiguità del governo sul tema. Mattarella, nel corso del suo colloquio col presidente cinese, ha perimetrato politicamente la firma del memorandum sottolineando la necessità del “rispetto dell’unità europea e dell’amicizia con gli Stati Uniti”. Perché “nonostante contraddizioni e lacune, la dimensione europea è penetrata stabilmente nella vita dei cittadini”. Parole su cui ha ricevuto, dal presidente cinese, positivo riscontro perché “i rapporti tra Cina e Ue sono molto importanti” e “guardiamo con favore a una Unione Europea unita, stabile, aperta e prospera”. Ed è, sempre in questo contesto, l’auspicio che venga affrontato positivamente “il confronto sul tema dei diritti umani”.

Europa, reciprocità, diritti umani, almeno a parole, nell’ambito di un accordo che “deve essere una strada a doppio senso”. Accordo che ufficializza la volontà di due nazioni di approfondire i propri rapporti, di certa rilevanza politica, ma non un “trattato” internazionale. È un doppio messaggio – non a caso Salvini ha espresso parole di apprezzamento – verso i teorici della “colonizzazione” e dell'”opacità” del memorandum, in cui non compare il punto che Washington guarda con maggior sospetto e ostilità, ovvero il delicato tema sull’uso della tecnologia 5G, dal quale sarebbero messe a rischio le nostre infrastrutture strategiche e la sicurezza cibernetica, che non rientra nel memorandum. Ma più in generale sia verso un governo che ha ignorato Bruxelles, in attesa della valanga sovranista alle prossime elezioni, e sia verso partner europei che poi hanno ignorato l’Italia, certificando l’impossibilità di agire in maniera unitaria, con Macron che si intesta un negoziato con la Cina, a nome dell’Europa, da pari a pari, escludendo il governo Conte. Nelle condizioni date, altro non poteva fare, se non inserire un principio di realtà, in una ridda di polemiche che a stento coprono un crescente isolamento del paese.

L’HUFFPOST

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