La forza di un giornale in un mondo irriconoscibile

Viviamo in un’Italia isolata nel mondo: un risultato ottenuto in tempi record, senza che questo abbia portato alcun giovamento, perseguito solo per dinamiche elettorali interne, per gonfiare i muscoli e mostrare di esistere. 

Un percorso di scardinamento della democrazia che si legge nel tentativo di eliminare contrappesi e organi di controllo. Lo vediamo con la Banca d’Italia, con la Consob, con il fastidio verso chi fa opposizione o contro chi semplicemente esercita un diritto di critica, così anche la stampa non fiancheggiatrice diventa nemica del popolo e va messa all’indice.

Abbiamo tenuto la barra dritta, non abbiamo derogato su convinzioni fondamentali come lo spazio europeo, la democrazia liberale, il metodo scientifico e i diritti, che sono prima di tutto quelli dei più deboli e non quelli dei più forti, per definizione già capaci di tutelarsi da soli.

Gli attacchi e le pressioni che abbiamo ricevuto sono stati pesanti, ci siamo preoccupati ma non abbiamo mai arretrato, perché la cronaca e la storia indicano che mai tutto è perduto, che resistere è difficile ma possibile.
Ho sempre praticato la convinzione che ogni volta la notte lascerà posto all’alba, purtroppo per spegnere un incendio ci vuole molto più tempo che ad appiccarlo ma la tenacia e l’impegno sono l’unica scommessa possibile. Per recuperare speranza bisogna andare nei luoghi bollati come perduti. Roma e le sue periferie ne sono l’esempio perfetto: nel momento in cui lo sconforto e la rassegnazione sembravano aver vinto, abbiamo assistito alla nascita di decine, centinaia di comitati spontanei che si sono presi cura di un pezzo di società, che stanno impedendo caparbiamente che la barca affondi per sempre.

L’impegno a Repubblica è stato quello di investire sulla qualità e sulla capacità di innovare. Abbiamo dato nuova energia alle campagne sociali, dalle unioni civili alle sei leggi da salvare, dalla difesa convinta delle ong al rifiuto di una logica che vuole trasformare l’immigrazione in una mera questione di sicurezza. Battaglie solitarie come quella per dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri, naufragata per la pavidità di chi si è arreso alla propaganda della paura. Abbiamo dato il meglio nel classico giornalismo di inchiesta, penso a Giulio Regeni, a Stefano Cucchi o al lavoro su Daphne Caruana Galizia. C’è stato un modo nuovo di raccontare la cultura, e Robinson ne è l’esempio migliore, di aprire alle diverse voci della stampa europea con Fuoricampo, fino a quel grande laboratorio multimediale che è stato Super8: la stessa storia raccontata in tre linguaggi diversi con il long journalism sulla carta, i documentari per la televisione e le serie per il web.

Resto convinto che il futuro del giornalismo non possa più essere solo nella carta e che la qualità non si possa identificare con una sola piattaforma, per questo abbiamo lavorato su un sistema informativo nuovo e largo, dai video alle newsletter, dalla presenza sui social a Repubblica delle Idee, dai supplementi ai tanti inserti settimanali. Abbiamo sperimentato molto e con successo in un tempo di tempestosa transizione: ne è davvero valsa la pena.

Sono orgoglioso di aver aumentato la presenza di firme femminili e aver dato spazio anche ai più giovani.

Da oggi questo giornale passa nelle mani sicure di Carlo Verdelli, persona che stimo per preparazione e tenacia, professionista dotato di una straordinaria capacità artigianale di scovare e raccontare grandi storie e fenomeni sociali.

A tutti voi che ci leggete ogni giorno e ai colleghi con cui ho navigato un abbraccio affettuoso e soprattutto un grande grazie.

REP.IT

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