Litigare con Francia e Bankitalia affossa ancor di più l’Italia a crescita zero

L’Italia è (era?) un Paese importante in Europa sia per il suo contributo alla costruzione europea prima e poi a quella dell’Eurozona, sia per la forza del suo sistema produttivo molto integrato con quello di Francia e Germania. Eppure il Governo sembra non esserne consapevole o comunque di non considerare importante questa nostra collocazione, in tal modo danneggiando la nostra economia e quindi la produzione e il lavoro. Lo sanno molto bene i ceti produttivi, specie del centro-nord Italia, che si aspettavano politiche economiche analoghe a quelle che con pragmatismo attuano Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna, ma anche Piemonte e Liguria. Tutte aree più o meno integrate nel fascia italo-franco-tedesca, che ha una delle più potenti manifatture del mondo e che necessità di investimenti e infrastrutture moderne. Ecco perché bisogna completare la Tav e perché il Sistema Portuale di Genova ha bisogno della rapida conclusione del Terzo Valico ferroviario per entrare nella rete transeuropea. E l’elenco potrebbe continuare.

Anche dal punto di vista del finanziamento del nostro enorme debito pubblico il binomio franco-tedesco conta per l’Italia. E’ stato questo binomio che ha condizionato gli eccessi rigoristi di altri Stati del nord Europa con eccessiva aggressività. Così l’Italia ha avuto, rispetto al rigorismo europeo, gradi di flessibilità nel bilancio, a partire dal Governo Letta in avanti, senza perdere la garanzia di vigilanza e azione che l’eurozona ha dato ai mercati finanziari. Per non dire della politica monetaria della Bce che con l’eurozona ci ha protetto anche dalle agenzie di rating su cui i mercati si regolano. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’assenso più o meno esplicito del binomio franco-tedesco.

La nostra economia si ferma

Purtroppo il Governo in carica non ha tenuto conto dei fatti citati scontrandosi con le Istituzioni europee ed altri Stati nella convinzione che l’Italia fosse troppo grande e forte per costringerli a cedere. Ciò non è accaduto ed ora è anche il momento di chiedersi: cedere su che cosa?

Stando ai temi economici (diversi dalle questioni migratorie e di politica estera) il Governo lo ha fatto principalmente per finanziare con più deficit e più tasse un rilancio della domanda interna con la spesa corrente. Lo scontro con la Commissione Ue c’è stato ma, per fortuna, ha vinto la Commissione perché diversamente lo spread su tassi tedeschi sarebbe cresciuto enormemente. Lo dimostrano pochi dati. Il Governo in autunno aveva previsto e programmato una crescita del PIL per il 2019 del 1,5% con un deficit del 2,4% che dopo lo scontro con la Commissione sono scesi all’1,2% e al 2%. E’ stata una fortuna perché adesso la previsione di crescita è scesa allo 0,4%-0,6% (stando all’Ufficio Parlamentare del Bilancio, alla Banca d’Italia e all’Fmi) e addirittura allo 0,2% cifrato della Commissione europea. Il 2019, diversamente da quanto affermato da alcuni membri del Governo, non porterà un “boom” spinto dalla domanda interna in forza di due propulsori: reddito di cittadinanza e quota 100. Purtroppo non basta accusare i “tecnici” e le citate istituzioni di errori nelle previsione per esorcizzare la realtà economica che adesso conferma la recessione. Lo certifica sia il calo del Pil dei due ultimi trimestri del 2018 e il crollo della produzione industriale (-5,5% dicembre 2019 su quello 2018) sia la previsione della Commissione che nel 2019 saremo il Paese a minor crescita della Eurozona con un divario rispetto alla media che si amplia mentre nel triennio 2015-2017 si era ridotto.

L’effetto sul Mezzogiorno

L’effetto di crescita zero sarà ancora piu forte nel Mezzogiorno che continuerà a soffrire dell’emigrazione di risorse umane qualificate e di una economia della precarietà dove i bonus individuali al lavoro non serviranno se non c’è un sistema produttivo trainato dalle infrastrutture euro-mediterranee. Che, di nuovo, necessitano del ruolo della Europa con la Bei e della collaborazione più intensa delle Casse depositi e prestiti (dette National Promotional Banks) di Italia, Francia, Germania e Spagna. Sono iniziative su cui vari esperti italo-europei hanno molto lavorato anche in collaborazione con quelli dei tre Paesi citati. Forse sarebbe il caso di interpellarli.

L’HUFFPOST

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