Matteo Salvini sta ‘na favola

Ecco, il rischio è che il calvario dei Cinque Stelle diventi il calvario del governo. I numeri, testardi, raccontano di una crisi inversamente proporzionale al successo leghista. Di Maio in un anno perde oltre la metà dei voti (177mila) e scende anche rispetto alle scorse regionali. La Lega, in un anno, li raddoppia (più 59mila rispetto alle politiche) pescando ovunque, sia tra l’elettorato grillino sia tra quello di Forza Italia, per la prima volta sotto il dieci per cento. A dispetto delle dichiarazioni ufficiali la botta è arrivata. E fa male davvero, altro che “voto locale”. Ne è una prova il silenzio, a caldo, di tutti i big del Movimento: “Vedrete – racconta chi ha parlato con Giorgetti – la conflittualità aumenterà. Si scateneranno Grillo, Di Battista, quelli che vogliono il ritorno all’opposizione. Faranno i matti su tutto, a partire dalla Tav”.

Da oggi si balla. La legislatura entra in una nuova fase, da qui alle europee. Salvini rassicura, consapevole che il governo è paralizzato, ma resta il principale campo per la sua mietitura di consensi, semmai l’onere della crisi deve essere sulle spalle dell’alleato, perché ancora non è il momento. La crisi di governo non sarebbe sinonimo di elezioni anticipate, questo il punto, dunque meglio non azzardare. E poi, questo l’altro punto, “io non ho alcuna nostalgia del centrodestra con Berlusconi”.

È questo che il Capitano ripete anche a chi, tra i suoi, in fondo preferisce l’usato sicuro, con questi numeri, rispetto a un governo paralizzato dai veti. In fondo, il centrodestra che fu governa in mezza Italia. Non è questo l’orizzonte di Salvini. Che ha ancora bisogno di tempo per terminare l’opera di “prosciugamento” del centrodestra che fu. La più grande svolta a destra nelle amministrative degli ultimi anni dal punto di vista numerico sembra una vittoria della “coalizione” di centrodestra. Ma dal punto di vista politico non lo è. Anzi: è la consacrazione di un’altra cosa, di una nuova destra a trazione sovranista, a vocazione maggioritaria – Salvini e Meloni sono al 35 – che rende pressoché irrilevante il partito di Berlusconi. Avvitato in un nervoso dibattito interno, sotto la soglia psicologica del 10 per cento, Forza Italia a ogni elezione consuma una ulteriore tappa verso l’estinzione. Scende, si dilania, mentre la Lega cresce.

A differenza anche del grosso del corpaccione della Lega, Salvini pensa che un ritorno all’antico, anche con questi rapporti di forza, sarebbe un boomerang a livello nazionale. Perché il successo di oggi è dovuto anche a al connubio di governo, che ha consentito la mutazione genetica della destra, assorbendo l’elemento di innovazione e di critica alle elite e all’establishment, ovvero una grande carica anti-istituzionale che il vecchio centrodestra non aveva.

Ieri l’Abruzzo, domani la Sardegna dove la Lega esprime il candidato, poi c’è il Piemonte, assieme alle Europee. Altra tappa di questa costruzione: “Abbiamo segnali – dicono dentro Forza Italia – che Salvini non chiuderà sul nostro candidato, l’europarlamentare Alberto Cirio, ma chiederà un civico. La sta tirando per le lunghe, ha giocato a far intendere che potrebbe andare da solo”. Come Di Maio non ha alternative a livello nazionale, in questo incastro, Berlusconi non ce l’ha a livello locale. E con questi numeri, in parecchi in queste ore gli hanno suggerito: “Ripensaci, non candidarti alle Europee”. La sua campagna d’Abruzzo non è stata sufficiente a raggiungere neanche la soglia psicologica del dieci del per cento. Le Europee, dove il voto di opinione è ancora più alto, rischiano di essere davvero un dramma. Da notare. In tutta la giornata, il vincitore non lo ha nominato nemmeno una volta. Come nella conferenza stampa a Pescara, quando ha evitato di sedersi accanto. E, inquadrato, si è anche girato dall’altra parte.

L’HUFFPOST

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