I buchi neri del reddito grillino

1. Francesco Forte: «È insostenibile per l’alto debito»
«Il reddito di cittadinanza non sortirà gli stessi effetti che ha avuto in Germania che l’ha introdotto per favorire l’inserimento degli immigrati perché lì la domanda di manodopera è elevata e si è attuata una piena liberalizzazione dei contratti di lavoro, mentre da noi la normativa è stata irrigidita con il decreto Dignità», spiega l’economista ed ex ministro Francesco Forte. «La mancanza di investimenti e il debito pubblico rendono poco sostenibile la misura», aggiunge evidenziando come «l’aumento delle clausole di salvaguardia è strettamente legato al reddito che è una bomba ad orologeria in quanto rischia di andare fuori controllo se aumenterà la disoccupazione in quanto molti lo richiederanno».

2. Nicola Porro: «Premia i giovani che non meritano»
«Non c’è nessun liberale che non possa essere d’accordo sul fatto che bisogna aiutare i più deboli», esordisce Nicola Porro, vicedirettore del Giornale e anchorman. «Il metodo non è dettaglio ma sostanza», aggiunge rimarcando che «se si attribuisce un reddito cosiddetto di cittadinanza a ragazzi tra 18 e 25 anni, si attribuisce loro un diritto a ottenere un reddito senza merito se non quello di essere giovani, il che è contro ogni principio meritocratico». La rottura di questo principio, conclude, «è giustificata per coloro che a 55-60 anni si trovano senza lavoro e in condizione di disagio, ma non c’è giustificazione logica ed economica per attribuire un reddito a giovani cittadini di una nazione ricca come la nostra».

3. Carlo Lottieri: «Gli italiani sono contrari»
«Il reddito di cittadinanza non è un reddito di inserimento ma nasce dall’idea che tutti abbiano diritto a un reddito», afferma Carlo Lottieri, docente di Filosofia del diritto a Verona. «Ora stanno cercando di proporlo in modo diverso perché hanno capito che non è accettabile dalla maggioranza della popolazione, ma resta il fatto che le persone destinatarie degli aiuti sono concentrate in aree con limitatissime offerte di lavoro», rileva sostenendo l’urgenza di creare «condizioni struttturali per far emergere posti di lavoro come abbassare la pressione fiscale, rendere meno rigida la regolamentazione, rendere meno appetibili i posti di lavoro pubblici e superare i contratti nazionali».

4. Giuliano Cazzola: «La platea è vasta, i Cpi andranno ko»
«Tempi molto accelerati, platea molto ampia e strutture come i Centri per l’impiego che non sono in grado di fronteggiare la situazione: il rischio è che resti un provvedimento assistenziale», esordisce l’esperto di politche del lavoro Giuliano Cazzola. Anche l’esperienza passata conferma. «Garanzia Giovani – ricorda – è un piano che opera dal primo maggio 2014 con un finanziamento per metà europeo e per metà nazionale e regionale: in questo periodo i Centri per l’impiego hanno avito 1,4 milioni di iscrizioni, sono state contattate meno di 800mila persone e sono state trovate 300mila occasioni di lavoro, soprattutto tirocini». Anche l’assegno di ricollocazione del governo Renzi, conclude, «non è mai decollato».

5. Stefano Zecchi: «Rischio inganno troppo elevato»
«Rendere meno povera la gente e chiudere la forbice è giusto dal punto di vista etico, ma io penso che sia più giusto pensare a dei servizi di cittadinanza che riguardino anche la formazione di livello medio-bassa, ma il reddito colloca la gente in una sorta di limbo anche perché la gente spesso non è adeguata a ricoprire quelle posizioni», osserva il filosofo Stefano Zecchi. È fondamentale, però, che «il reddito vada in mani giuste e le agenzie siano in grado di ricollocare le persone», rimarca. «È il meccanismo che deve funzionare: a ogni angolo ci può essere l’inganno, il trucco che vanificherebbe una misura che eticamente è fondata», conclude. Il rischio, insomma, è che qualcuno approfitti della solidarietà.

6. Alberto Mingardi: «Creerà il partito dei gilet gialli»
«La cosa più preoccupante è che questo provvedimento, per come è stato congegnato, crei un partito della spesa pubblica», dichiara Alberto Mingardi, fondatore dell’Istituto Bruno Leoni, aggiungendo che «tutta una serie di persone comincerà a ricevere una somma in denaro che verrà erogata per 18 mesi: o si stima molto probabile che una parte importante di esse trovi un mestiere o molti smetteranno di riceverlo tutti assieme 18 mesi dopo». Se la stragrande maggioranza di essi non troverà un impiego, conclude, «si creerà un piccolo esercito dipendente dal reddito la cui perdita potrebbe spingerlo ad andare in piazza e a fare la rivoluzione: sotto certi aspetti si sta comprando il gilet ai gilet gialli italiani».

7. Donatella Prampolini: «Non si aiuta chi crea lavoro»
«Cerchiamo di valutarlo in maniera abbastanza razionale ed è ovvio che ciò che va in tasca agli italiani e si può riversare nei consumi è positivo», spiega Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio, ma «avremmo preferito che nella manovra si valorizzasse di più chi crea lavoro: è una manovra più assistenzialista che espansiva». L’imprenditrice dubita che «i centri per l’impiego, con cui mi confronto spesso, possano svolgere il lavoro che sono chiamati a effettuare» perché «sono abituati a fare tutt’altro, hanno personale non formato a fare questo tipo di lavoro e riconvertire personale che da 30 anni compie un altro tipo di attività è un impresa titanica». Quasi impossibile, si potrebbe dire.

8. Ignazio Ganga: «Incrementa l’assistenzialismo»
«Il reddito di cittadinanza è una misura particolarmente complessa che vuole ottenere un ambizioso duplice obiettivo: l’attivazione lavorativa e il contrasto alla povertà», evidenzia Ignazio Ganga, segretario confederale Cisl aggiungendo che «per quanto riguarda l’attivazione lavorativa, principale via per le famiglie di uscire dalle difficoltà economiche, riteniamo difficile che tale misura possa contribuire ad aumentare l’occupazione, poiché non è stata accompagnata, nella legge di Bilancio, da adeguati investimenti per la crescita e in particolare lo sblocco delle infrastrutture». Il reddito, perciò, potrà incrementare i consumi, ma rischia anche «d’incrementare forme di assistenzialismo nei territori disagiati».

9. Roberto Pessi: «Se non si investe sarà quasi inutile»
«Se il reddito di cittadinanza non si dovesse configurare come un reddito di inclusione di durata prestabilita, ma come una misura permanente di contrasto alla povertà, allora si prospetterebbe un altro modello di welfare e sarebbe meglio ridisegnare tutto l’assetto normativo di riferimento in coerenza con l’assetto costituzionale», spiega il giuslavorista Roberto Pessi, prorettore della Luiss di Roma. «In un sistema italiano caratterizzato da lavoro nero ed evasione fiscale il rischio che ci siano abusi è evidente», aggiunge sottolineando la necessità di porre «molta attenzione all’attuazione» e che il reddito «dovrebbe legarsi a investimenti infrastrutturali per garantire maggiori possibilità occupazionali».

10. Gianfranco Viesti: «Porta sostegno ma non sviluppo»
«La mia opinione è favorevole a strumenti di contrasto alla povertà ma sulla misura varata dal governo ci sono diverse criticità applicative e il rischio è che abbia dei problemi di funzionamento, personalmente avrei ritenuto meglio proseguire sulla strada del Reddito di inclusione», osserva Gianfranco Viesti, economista ed esperto della questione meridionale. Il reddito di cittadinanza «è uno strumento troppo complesso e ha due obiettivi diversi non facilmente conciliabili: avviamento al lavoro e contrasto alla povertà». Secondo Viesti, l’impatto della misura «potrebbe essere positivo se raggiunge le famiglie in reale stato di povertà, tuttavia c’è la gamba del sostegno ma manca quella dello sviluppo».

IL GIORNALE

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