Al via l’operazione Calenda ma sorgono già i primi distinguo, da parte di Mdp e +Europa. Tutti in attesa del nuovo segretario Pd

A questi paletti, si sommano poi le incertezze interne al Pd. È vero che sia Zingaretti che Martina hanno da subito aderito all’appello e, anzi, tra i due è quasi scattata una corsa a dirsi “calendiani della prima ora”. Ma se il Governatore – favorito nella corsa congressuale – ha messo a disposizione perfino il simbolo del partito, dicendosi pronto a rinunciarci qualora fosse necessario, il fronte opposto è più cauto: “Non bisogna nascondere i simboli – ha detto oggi il martiniano Graziano Delrio intervistato dal Corriere – io non mi vergogno della mia storia, non penso che il Pd sia una bad company”.

E dire che rinunciare al proprio logo sembra portare bene ai dem. La vittoria di Andrea Frailis alle elezioni suppletive di Cagliari è stata costruita sotto il simbolo dei “Progressisti di Sardegna”, lo stesso che il 24 febbraio accompagnerà la corsa alle regionali di Massimo Zedda (ma lì si presenteranno anche nove liste per il consiglio, tra cui quella ufficiale del Pd). E, prima ancora, la candidatura di Giovanni Legnini alle regionali abruzzesi del 10 febbraio ha assunto un carattere spiccatamente civico, con i dem chiamati esplicitamente a un passo di lato: presenteranno sì il loro simbolo, ma saranno le liste civiche – nelle intenzioni del candidato – a trainare la coalizione. L’impresa appare ardua, con una competizione che vede favoriti nelle previsioni centrodestra e M5S, ma in questo modo il centrosinistra spera comunque di essere della partita.

D’altra parte, lo stesso Zingaretti non ha mai affermato di voler rinunciare semplicemente al simbolo del partito di cui spera di diventare segretario. Anzi, il modello semmai è quello che ha caratterizzato anche il suo successo alle regionali laziali dello scorso anno: una coalizione ampia e opportunamente arricchita da forze civiche, dalla quale il Pd possa trarre giovamento anche per sé, piuttosto che essere penalizzato.

Il congresso dem non mantiene in standby solo quel partito, impegnato in una complessa transizione post-renziana, ma anche le altre forze che gravitano nell’orbita del centrosinistra e del progetto promosso da Calenda. A partire proprio da Mdp. Da quelle parti, non c’è nessuna preclusione a un dialogo che possa ricostruire un centrosinistra unitario, contrariamente a quanto sostenuto da Sinistra italiana di Nicola Fratoianni, divario che ha provocato la fine di fatto del cartello di Liberi e uguali, che resiste ormai solo come gruppo parlamentare. Ma non c’è nemmeno un’adesione entusiasta al manifesto europeista, come quella del movimento Futura, capeggiato da Laura Boldrini. Quelli che i bersaniani vogliono vedere ben chiari sono i principi attorno ai quali avviare un percorso comune. Se qualcuno, come il Governatore toscano Enrico Rossi, ha perfino sottoscritto l’appello di Calenda, la maggioranza di Mdp appare più scettica e preferirebbe un profilo più nettamente socialdemocratico, anche critico con le scelte del passato su immigrazione, euro ed austerità. Una sorta di lista dei progressisti, così come tratteggiata da Andrea Orlando (tra i principali sostenitori di Zingaretti) in un’intervista sul manifesto di ieri.

Al momento, insomma, la posizione dei bersaniani è di “non aderire, né sabotare”. Anche perché, se l’operazione unitaria non quagliasse, si ritroverebbero ad affrontare una sorta di battaglia kamikaze che li vedrebbe correre da soli alle europee, con il rischio concreto di rimanere al di sotto dello sbarramento del 4%. Meglio allora capire prima cosa accadrà, a cominciare dalle mosse del prossimo segretario dem. Per finire, naturalmente, con quelle di Matteo Renzi: sarà della partita anche lui? O – meglio, dal punto di vista di Mdp – mollerà gli ormeggi per dare vita a una lista moderata, vicina ma alternativa a quella progressista?

Una posizione speculare è quella assunta sull’altro fronte da +Europa. Emma Bonino è stata tra i primi a essere contattata da Calenda, prima della pubblicazione del suo manifesto. Ma anche il suo partito è impegnato nel congresso, che si celebrerà a Milano questo fine settimana. La leader radicale ha rinviato a quella sede la discussione. Ma difficilmente anche da lì uscirà una posizione netta.

Sia Benedetto Della Vedova che Marco Cappato, i due principali candidati che si contendono la leadership, non hanno preclusioni rispetto a una partnership che consenta loro di superare lo sbarramento alle europee. Il primo, però, immagina di dare vita a una sorta di gamba liberaldemocratica della coalizione europeista, che comprenda Calenda e possibili fuoriusciti dal Pd, ma non i dem, né tanto meno partiti e movimenti ancora più a sinistra. Il secondo pensa invece a una lista più “movimentista” con i Verdi e Italia in comune di Federico Pizzarotti. Entrambi sono comunque preoccupati dal mantenere una propria identità, che non sia fagocitata da una lista dominata dal Pd. Per questo, mantengono una certa prudenza, almeno fin quando non saranno chiari i confini e il profilo di un eventuale progetto unitario.

A completare il quadro, si aggiungono Beatrice Lorenzin e Pier Ferdinando Casini, che fanno appello alla presenza dei moderati all’interno del contenitore prospettato da Calenda. “Sorprende – spiega l’ex ministra della Salute – che anche nel dibattito, che per inciso apprezzo, sul fronte unico pro Europa si faccia riferimento a diverse anime, tutte legate storicamente alla sinistra e al progressismo, e non si cerchi di intercettare l’enorme fetta di elettorato moderato, popolare, liberale, che non può riconoscersi nel sovranismo, ma che poco ha in comune con le posizioni storiche della sinistra. Elettorato che, anche per questo, si trova disorientato e senza alcun punto di riferimento. Si tratta di un grave errore politico, ancora rimediabile, che rischia di consegnare questo pezzo importante di elettorato alla Lega o al non voto”.

Insomma, a dirsi europeisti – con più o meno convinzione – sono tutti d’accordo. Ma, come dice Romano Prodi, “sopra le Alpi gli ulivi non nascono”: la strada da fare verso la costruzione di una lista unica, o quanto meno larga, appare ancora lunga e complicata. Dopo le primarie dem del 3 marzo, forse, si riuscirà a capire qualcosa in più, ma allora mancheranno due mesi e mezzo all’appuntamento con le urne e bisognerà correre.

L’HUFFPOST

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