Apertura sulle grandi opere, Di Maio dice sì ai cantieri. Ma rimane il veto sulla Tav

ilario lombardo roma

Ogni volta è Luigi Di Maio a caricarsi la responsabilità della svolta, determinando una maturazione del M5S da movimento di piazza, partorito da un Vaffa, a partito di governo. Così è stato con l’euro, così ora con le grandi opere. Una transizione dolce figlia di uno strappo traumatico.

Il No alla Tav ha costretto a guardare in faccia la realtà produttiva del Nord, a cercare di interpretarne i bisogni e le richieste. Il M5S è finito in un angolo, sommerso dalla percezione che vede i grillini come i signor No, contro tutto per costituzione. Colpa anche dei troppi sì concessi alle mille campagne locali. No Tav, No Tap, No Muos, No Triv, No Olimpiadi: dove c’era un No c’era il M5S. Da adesso non sarà più così. «Non possiamo passare per quelli che si oppongono a ogni infrastruttura. Ora siamo al governo, abbiamo responsabilità economiche. Abbiamo promesso una crescita decisa» è il ragionamento che è in corso tra Di Maio, collaboratori, ministri e sottosegretari del M5S. Tutti convinti che la svolta sia nelle cose, necessaria a contrastare lo storytelling sui grillini paladini del No e l’emoraggia di voti al Nord. Secondo Di Maio il M5S deve darsi una regolata per dimostrare «che non è ideologicamente contro le grandi opere». E il messaggio che accompagnerà questo cambio di direzione è pronto: «In passato hanno significato devastazione del territorio e corruzione. Per questo il M5S era contro.

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