Il governo del cambiamento tra promesse e passi indietro

La legge di bilancio che sta andando avanti faticosamente in Parlamento è la dimostrazione di questo. Chi abbia la forza di leggere i 108 articoli della manovra, che si estendono per 274 pagine, nella versione approvata dalla Camera, si rende conto che essa è composta di tre parti. I saldi, le grandi cifre degli stanziamenti e del disavanzo oscillano tutti i giorni, e sono ancora in ballo. La disciplina concreta del reddito di cittadinanza e di quota 100 per le pensioni è rinviata ad altre, apposite leggi. Resta una massa di micronorme inserite per accontentare tutte le corporazioni e gli appetiti. In questo calderone indigesto dominano le assunzioni, sempre con posti riservati a qualche privilegiato, persino attingendo alle liste di collocamento. Una legge “omnibus”, perché passa il treno e tutti hanno voluto agganciarci un vagone, compiacendo questo e quello. Vi si trovano veri e propri errori, molte concessioni ai più vari appetiti, norme palesemente incostituzionali, la prova comunque della più ampia irrazionalità (perché mettere in legge tante micronorme produce sclerosi, vincola alla moltiplicazione delle leggi, che è il contrario della semplificazione che il governo si propone).

Un’altra prova delle contraddizioni in cui si sta infilando la politica legislativa del governo è lo schema di disegno di legge sulla semplificazione e le codificazioni di settore. L’intento è buono, la realizzazione pessima. Intende semplificare, ma complica (prevede un comitato interministeriale, un gruppo di lavoro, una cabina di regia, una unità specifica, una commissione governativa permanente, oltre che la commissione parlamentare per la semplificazione). Se il Parlamento approva questa maxi – delega, può andare a casa, perché a tutto provvederà il governo. Ancora una volta, si comincia con la democrazia diretta, si finisce con abbandonare anche la democrazia rappresentativa. Credo che tutti siano disposti ad accettare una certa dose di ipocrisia governativa, ad acconsentire che non tutte le promesse di chi va al governo vengano mantenute, a riconoscere che tra ciò che si dice e ciò che si fa vi possa essere una differenza. Ma l’azione del presente governo va oltre. Le due forze che lo compongono si sono proposte come popolari, ora stanno concentrando il potere nelle mani dei due leader, più impegnati a far propaganda e a occupare le stanze del potere che a svolgere una vera azione di governo. Due populismi fanno un regime corporativo. Si nota il vizio di origine: un governo composto da due forze politiche di cui nessuna aveva vinto le elezioni, in competizione tra di loro, ma fortemente unite dall’attaccamento alle poltrone del potere.

CORRIERE.IT

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