Oggi in piazza il popolo del Sì alla Tav: a Torino la protesta parte dalle donne

andrea rossi
torino

Le due sindache d’Italia affrontano oggi la prova più dura. In un’aula del Palazzo di giustizia Virginia Raggi attende il suo destino: la procura ha chiesto dieci mesi per falso in atto pubblico contestando la nomina a responsabile del settore Turismo di Renato Marra, fratello di Raffaele, all’epoca braccio destro della sindaca di Roma. Su Chiara Appendino, invece, incombe una piazza che non ha precedenti e segna la riscossa civica di una città che pareva intorpidita.

Quel che unisce le due sindache del Movimento 5 Stelle è anche ciò che le mette in pericolo: sono le donne di Roma e Torino ad aver chiamato la piazza. La protesta davanti al Campidoglio è stata guidata da sei «cattive ragazze». A loro si è ispirato il settebello di Torino: sette professioniste, promotrici di un «manifesto per il sì» e di un comitato, «Sì, Torino va avanti», anima dell’adunata di oggi in piazza Castello.

È partita da qui l’improvvisa scossa civica che attraversa Torino da giorni. L’innesco risale alla fine dell’estate: il naufragio della candidatura olimpica, la città che si sfila dal tridente con Milano e Cortina. Il detonatore, però, è stato l’ordine del giorno del Movimento 5 Stelle contro la Torino-Lione: un atto senza ricadute pratiche ma dal forte valore simbolico, per i grillini che l’hanno approvato ma anche per chi l’ha vissuto come un’onta alla città.

 

Quel giorno, lunedì 29 ottobre, è cominciata una mobilitazione che in meno di due settimane ha prodotto una petizione on line con 60 mila adesioni e 40 mila iscritti a una pagina Facebook. I motori di questa riscossa – che rifiuta etichette di partito, anzi chiede esplicitamente di lasciare a casa qualunque bandiera, eccetto quella italiana o europea – sono due: Mino Giachino, ex sottosegretario alle Infrastrutture nei governi Berlusconi, instancabile sostenitore della Tav; e sette professioniste, inventrici di una mobilitazione inedita. Per la prima volta scende in piazza il popolo dei «Sì»: alle infrastrutture, al sapere, all’innovazione e alla piccola impresa, al turismo e alla cultura, alla solidarietà, ai diritti,

all’inclusione. «Questa città ha sempre trainato il Paese», raccontano Patrizia Ghiazza e Giovanna Giordano, due delle organizzatrici. «Qui si è fatta l’Italia, si è inventato quasi tutto. Ora non possiamo accettare di vedere Torino relegata in un angolo della pianura Padana».

L’Onda dei Sì ha scelto di viaggiare controcorrente: per la prima volta orchestra una mobilitazione le cui parole d’ordine sono tutte declinate in positivo; e lo si fa richiamandosi a concetti quali garbo, gentilezza, educazione.

L’hanno chiamata «la protesta gentile» ed è questo – insieme con i suoi temi trasversali e la sua vocazione, politica ma non partitica – ad averla resa così popolare. Oggi si misura con i numeri veri, quelli di una piazza da cui dipendono i destini di Chiara Appendino, ormai giunta quasi a metà del suo mandato.

La sindaca teme quest’Onda nata dal basso, perché ha saputo coagulare vaste porzioni di città, alcune delle quali a lungo le hanno dato ampio credito: artigiani, imprenditori, commercianti, ordini professionali, sindacati, cooperative. Oggi tutte le associazioni di categoria saranno in piazza, e con loro ci saranno diversi partiti politici, Lega compresa, ma senza bandiere, e poi associazioni e comitati, ma soprattutto persone comuni. Per quasi tutti la Tav non è l’obiettivo; semmai è il sintomo di un rapporto compromesso con chi guida la città. Lo spiega bene il leader degli industriali Dario Gallina: «I torinesi finora hanno parlato poco, ma sono veramente stufi di certe decisioni. Noi siamo molto focalizzati sul tema delle infrastrutture, ma c’è un malessere generale su una serie di No detti fino ad oggi che ha coalizzato la risposta della società civile».

Da una settimana Appendino, fiutata l’aria, ha quasi silenziato la comunicazione della Città per evitare di offrire qualunque spunto polemico. Invia segnali distensivi. L’ha fatto anche ieri: «Un sindaco non deve giudicare chi decide di manifestare ma ha l’obbligo di ascoltare. Il mio atteggiamento sarà di apertura, la mia porta è aperta». Ha sconfessato con decisione chi, tra i suoi consiglieri, ha liquidato la piazza come la protesta di «disperati, anziani disinformati e signore dei salotti», ispirandosi forse al veleno di Raggi sulla manifestazione di Roma: persone «con le borse firmate da mille euro e i barboncini con pedigree al guinzaglio».

In fondo queste cadute di stile sono rivelatrici. Mirano a screditare le donne. Perché sono loro a guidare l’onda che incombe sulle due sindache.

LA STAMPA

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