Visco scalda i banchieri: “Le famiglie pagheranno l’aumento dello spread”

alessandro barbera
roma

Il silenzio dei banchieri che sfilano all’ingresso dell’università Pontificia Angelicum sembra scelto per il luogo. In realtà è diplomazia, un modo per evitare di dire ai cronisti quel che molti di loro pensano ma nessuno ha il coraggio di dire. Lo si intuisce dall’applausometro di Ignazio Visco e Giovanni Tria: calorosi con il primo, freddi con il secondo. Alla giornata annuale del risparmio il governatore è un fiume in piena: dice che la crescita nel 2019 sarà lontana dalle previsioni del governo («sotto l’uno per cento»), denuncia «le conseguenze gravi derivanti dall’aumento dello spread sui titoli pubblici» e il prezzo per famiglie e imprese. Raramente i discorsi del numero uno di Bankitalia sono accompagnati da grafici. Ieri Visco ne ha proposti tre, l’ultimo dei quali mostra il costo dei cosiddetti «credit default swap», ovvero degli strumenti finanziari che assicurano dal default italiano. Non è stato necessario approvare alcunché, anzi con un pizzico di malizia Visco fa notare di non aver ancora visto (arriverà poche ore dopo) la bozza di Finanziaria per il 2019. Sul palco ci sono il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, il capo delle Fondazioni bancarie Giuseppe Guzzetti, il numero uno di Intesa Sanpaolo Carlo Messina. Per la Lega c’è Giancarlo Giorgetti, per il Movimento Cinque Stelle Carla Ruocco. Il primo è un membro del governo, la seconda no, e questo spiega molto dell’attenzione alle ragioni della platea.

 

 

La prudenza di questi giorni – culminata nella decisione del governo di mettere nel congelatore reddito di cittadinanza e controriforma delle pensioni – ha molto a che fare con la questione bancaria: Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno compreso che la situazione si stava facendo seria non solo per i bonus dei banchieri ma anche per i risparmiatori. Gli istituti italiani hanno a bilancio più titoli pubblici di quanti non ce ne fossero nel 2011, e il contagio dallo Stato agli sportelli può essere rapidissimo. Proprio ieri l’agenzia Standard and Poor’s ha tagliato il rating a ben undici banche italiane, da Intesa a Unicredit, da Mediobanca a Bnl. Nel giro di quattro mesi gli investitori stranieri hanno ridotto l’esposizione in Italia per più di ottanta miliardi di euro, abbastanza per rendere complicata persino una retromarcia. Tria prova a rassicurare tutti, dice che «lo spread non riflette i fondamentali dell’economia», promette che il deficit nel 2019 non supererà il 2,4 per cento. La sala non gli crede granché, e teme un replay del 2011, quando Silvio Berlusconi dovette dimettersi travolto dalla crisi finanziaria nonostante una manovra monstre per anticipare l’obiettivo del pareggio di bilancio.

 

L’altro ieri Tria ha provato invano a convincere anche una delegazione della Commissione affari monetari del Parlamento europeo. Nessuno crede che una manovra in gran parte finanziata per aumentare sussidi e pensioni possa dare la spinta a crescita e produttività, il male italiano che Visco ricorda in ogni discorso. Per cercare di invertire la rotta a Moody’s è stato raccontato che la controriforma delle pensioni durerà un anno, Tria ai parlamentari europei ha riferito che sarà finanziata per un triennio. Ormai molti faticano a prendere sul serio anche l’impegno a far sì che il 2,4 per cento di deficit non sia un obiettivo ma semmai un limite invalicabile. Il presidente della Commissione di Strasburgo Roberto Gualtieri è lapidario: «Trovo singolare la strategia di assicurare una linea del Piave e poi alludere che ci si possa fermare prima. Di solito si fa il contrario». Il fatto che Gualtieri sia stato eletto nelle file del Pd non tragga in inganno: il suo giudizio è tale e quale quello riservatamente offerto dai banchieri raccolti sotto le volte dell’Angelicum. «Il risparmio privato non può venire sacrificato sull’altare del debito pubblico», dice Guzzetti. La platea applaude convinta.

LA STAMPA

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